Angelina si sposa

«Più gonfi, Ludmilla, più boccoli e più gonfi.» La signora Marisa impartiva ordini con lo stesso cipiglio con cui un comandante di nave pirata avrebbe incitato la ciurma all’arrembaggio.
Dritta al centro della sala, i pugni sui fianchi come una novella ducessa Benita, la matrona era consapevole che la riuscita della giornata dipendeva soprattutto dalla sua capacità organizzativa.
Quel giorno Gianroberto, il suo unico figlio, avrebbe sposato Bentivoglio Angelina, decorativa quanto squattrinata fanciulla in fiore che come unica dote portava spizzichi di antica nobiltà impolverata e impoverita e fianchi si sperava prolifici.
Il matrimonio era stato deciso dalle famiglie dei due nubendi e le trattative, agli occhi dei più, sarebbero potute sembrare più un’estenuante partita a Risiko che un trattato d’amore.
Quando il sensale del paese aveva comunicato alla famiglia Bentivoglio che il figlio del fu Marozzi Gianrico chiedeva in moglie Angelina, in casa Bentivoglio si era gridato al miracolo.
Marozzi Gianroberto fu Gianrico era: un’ azienda agricola di svariati ettari coltivati in parte a mais e in parte a foraggio, un allevamento di vacche da latte di 200 capi, un podere affittato a terzi, un cascinale con parti abitabili di 300 metri quadrati.
Marozzi Gianroberto fu Gianrico non era particolarmente attraente ed era diversamente sveglio.
«È un gran lavoratore.» aveva sentenziato il padre di Angelina mentre sognava l’estinzione di debiti e debitucci che da anni costellavano la sua esistenza.
«È tanto educato.» l’aveva rassicurata la madre mentre immaginava di abbandonare quella casa malsana per una sistemazione più dignitosa e acconcia.
Marito e moglie Bentivoglio avevano guardato la loro graziosa primogenita con occhi d’amore e poi si erano seduti al tavolo annotando su un quaderno tutte le spese che avrebbero potuto affrontare con l’aiuto del futuro genero e della di lui madre.
A pagina 7 Angelina aveva acconsentito alle nozze.
Mentre attorno a loro i preparativi fervevano come mosto nelle botti, i due fidanzati si concedevano lunghe passeggiate in centro, incoraggiati dalle famiglie perché facessero conoscenza.
Marozzi Gianroberto fu Gianrico appariva raggiante e conduceva al braccio con orgoglio quella creatura celestiale dotata di un solitario con brillante di elevata caratura.
I compaesani erano equamente divisi fra quanti sostenevano che il matrimonio non sarebbe durato perché lei era troppo graziosa e povera per lui e quanti erano convinti che non avrebbe funzionato perché lui era troppo ricco e stupido per lei.
I nubendi, forse ignari, sorridevano benevoli a entrambe le fazioni.


«Più gonfi, Ludmilla, più boccoli e più gonfi. Ancora lacca.»
Avvolta da una nuvola di gas mefitico all’aroma di vaniglia, Angelina si rimirò nella specchiera: i capelli, naturalmente castani, erano diventati biondi perché il biondo piaceva al suo futuro marito, così come i boccoli erano la passione della futura suocera.
L’abito, metri e metri di seta, tulle e organza bianchi, scelto da madre e suocera con la supervisione di numero due nonne e numero quattro zie (tre materne e una paterna), la rendeva più simile a una meringa che ad un essere umano e il bouquet, una cornucopia di orchidee bianche, le impacciava i movimenti.
«Com’è bella la nostra Angelina – sospiravano felici i genitori – sembra una stella del cinema.»
Le cugine e le amiche della sposa annuivano chiocciando.
La cerimonia si svolse come da copione: auto di lusso con autista, marcia nuziale, Ave Maria cantata dal Fratocchi, tenorino e gloria locale che anni prima aveva quasi partecipato a una selezione del festival di Castrocaro, paggetti e damigelle di raso vestiti, pioggia di riso sul sagrato della chiesa.
Sorrisi al fotografo.
Bomboniere in vetro di Murano e confetti ripieni al caffè.
I trecento invitati si riversarono al “Sette oche in altalena (reclamavano la cena)”, rinomato ristorante della zona che ai matrimoni garantiva una scelta fra ben otto menu diversi.
I Marozzi ovviamente avevano scelto il più costoso.
Fu appena dopo il consommé di astice in guazzetto di mango e prima delle ostriche gratinate al tartufo d’Alba che Angelina si chinò verso lo sposo, gli disse che aveva necessità di andare alla toilette e si allontanò fra gli applausi degli astanti.
Verso le pappardelle ripiene di fois gras con riduzione di anice lo sposo iniziò a inquietarsi per la prolungata assenza della sposa; al brodetto di tordo lardellato si alzò per andarla a cercare e al momento del parfait di spigola la cosa era chiara: Angelina era scomparsa.

Nel bagno avevano ritrovato l’abito, le scarpe di raso e perfino l’acconciatura di perle e fiori di cera che Ludmilla le aveva a fatica appuntato fra i boccoli, ma della giovane non c’era traccia.
La notizia della sua sparizione diventò un caso nazionale e finì perfino al telegiornale delle 20.
Vennero ingaggiati investigatori privati e veggenti, ma niente da fare.
Di Angelina non si seppe più nulla.
Le ipotesi sulla sua sparizione si sprecavano: per alcuni era fuggita con la complicità di un amante, altri giuravano di averla vista, anni dopo, esibirsi come domatrice di barboncini in un circo di second’ordine. Qualcuno pensò di riconoscerla nelle vesti di attrice in un paio di pellicole a luci rosse e qualcun altro si disse convinto che dalla toilette la povera Angelina avesse assistito a “qualcosa che non doveva vedere” e che dunque fosse stata messa a tacere per sempre.
Non mancarono anche due terrapiattisti convinti di un rapimento alieno.

Marozzi Gianroberto fu Gianrico non si risposò mai più.

Angelina si sposa versione audio. Editing by ©Lenny Farmer

©Viviana Gabrini
©Foto di copertina Pexels

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