Davide Marchetta

Davide Marchetta è nato a Messina nel 1959.
Ha lavorato per oltre trent’anni come critico letterario alla Gazzetta del Sud. Dopo il romanzo “Sospetto di morte” con Rubbettino (1995), ha pubblicato il poemetto “Io sono caino” (Nuova Ipsa, 2001), le raccolte poetiche “Manuale di sofferenza” (Sciascia 2010) e “Stella perdente” (2016) per Plumelia, nella collana “Acheni” diretta da Aldo Gerbino.
La sua rubrica è Segni diVersi

Dopo, raccontava, sono cominciati i problemi con la notte.All’inizio, lei, la notte, mi aveva preso con sé, ma non durò molto.E prese a trascurarmi. Così, ogni mattina, lui si rivolgeva allo specchio: aggiornami su cosa sono diventato. Apriva se stesso come un libro e si metteva a leggere. Allora, diceva,leggi »

I fantasmi, diceva. Nella vita di tutti i giorni, rischi di non vederli.Ma poi, di notte, vengono a tirarti le coperte. Così, arrivava la lettura di un romanzo, che lo disorientava e lo isolava. Oppure passava ventiquattr’ore senza un taccuino: una prova ardua da superare, diceva. Allora, ingoiava parole comeleggi »

Certi giorni, diceva, incontro me stesso e faccio finta di non conoscermi. Non mi saluto nemmeno. Così si rivolgeva alla scrittura. Coccolava la sua scrittura come un figlio. Ma di quel figlio lui si sentiva figlio. Era come se avesse messo sulle tracce di se stesso un investigatore. E l’investigatoreleggi »

A volte, la lettura di alcuni libri lo tagliava in due. In particolare temeva che la lettura di se stesso non l’avrebbe portato al tomo successivo. Lo straccio da vecchio: avrebbe voluto dare questotitolo alle sue considerazioni autobiografiche. Oppure: Fatelo stare zitto. Cercava sempre di comprendere il mondo, questo sì.leggi »

Era un equilibrista. Non aveva paura di precipitare. Camminava su una fune sospesa sul nulla. E se riceveva un’offesa, faceva finta di niente, come se non fosse all’altezza di potersi offendere. Nonsei obbligato a scriverne, diceva a se stesso. Il gioco a cui si prestava era quello di lasciarsi dilaniareleggi »

A volte, abitava la solitudine rarefatta di un quadro. Le ombre lo affascinavano. Ma non sopportava la polvere, la folla, i cimiteri.Ora, diceva a se stesso, non devi fare altro che raccogliere i vocaboli. Come se fossero frutti di stagione. Bisognava farlo prima che marcissero. Usava la penna come un’armaleggi »

A volte, la scrittura si rivelava un labirinto senza uscita; a volte, però, era una passeggiata per i campi, o su una spiaggia deserta.L’importante è scrivere, diceva. Anche se, diceva, essere ascoltati è cosa rara. La gente si nutre di apparenze, spiegava. D’altra parte, cosa mai avrebbe potuto dargli unaleggi »

Certe parole mi urgono dentro, diceva. Ma escluderei la possibilità ch’io possa spiegare tutto. E si serviva del sesso come della lepre nelle corse dei cani. La sua scrittura lo inseguiva senza raggiungerlo mai. Per tutta la vita vessato dalla vergogna, aveva poi imparato a farne a meno. Era senzaleggi »

La sua grafia era quasi una porno-grafia. Per la morbosità acuminata del tratto. Sembrava quella di un mago, un prestigiatore, un illusionista da circo di paese. Ancora tu, sbuffava davanti allo specchio. Ma non c’era più tempo: al lavoro, diceva, al lavoro. C’è da distruggere me stesso. Anche oggi, aggiungeva,conleggi »

Aveva sempre ceduto il passo ai sogni. Era la sua maniera di stare al mondo, di affrontare gli altri. Aveva la mente prigioniera della mente. Chiedeva al primo che incontrava: Giochiamo a mente prigioniera? Sulla vita consultava se stesso da morto. E si permetteva di uscirne vivo. Si esercitava aleggi »