La mano di mamma

Quella mano bianca che spunta dalle macerie è quella di mamma. Lo so, perché ha il segno della cicatrice sul polso, di quando quel soldato l’ha colpita con il calcio del mitra, mentre lei cercava di impedirgli di dare fuoco alla nostra tenda. Io gridavo mamma lascia stare, perché ero sicuro che lui le sparava. Invece l’ha colpita e basta, forse non voleva distrarsi per finire il lavoro del fuoco. La nostra era una delle poche tende rimaste, adesso non ce ne sono più, è tutto nero e bruciato.

Non riesco a togliere gli occhi dalla mano. Tremo, mentre la guardo, i brividi mi scuotono, non riesco a fermarli. E non ci vedo bene, perché le lacrime mi sfocano tutto. O forse è la polvere. Quando smettono di bombardare, ci sono nuvole di polvere bianca dappertutto, che coprono quello che resta e ti entrano nella gola. Dicono che è per questo che è morta la mia sorellina, ma io non ci credo, erano giorni che non mangiava quasi più, come tutti noi, qui. Era troppo debole. Ma è vero che per la polvere ha iniziato a tossire e non smetteva più, anche quando le usciva sangue dalla bocca. E a un certo punto non si è più mossa. Ha avuto come un brivido, mentre la tenevo con la testa sulle mie ginocchia, un brivido lungo e poi basta. Mamma quando è tornata era disperata. Ci aveva lasciati soli perché dicevano che era arrivato un carretto con del cibo e non mangiavamo da due giorni. Quando ha visto Kadija immobile sulle mie ginocchia, ha lasciato cadere il sacchetto che aveva in mano e ha cominciato a gemere, mentre correva verso di noi e ci stringeva tra le braccia. Siamo rimasti così per non so quanto tempo, finché è arrivato mio zio, il fratello di papà, e ci ha trascinato via. Per Kadija abbiamo trovato solo un pezzo di tela, non la mussola che bisognerebbe usare, perché quella non si trova più da tanto, ormai. Era anche un po’ corto: anche se lei era piccola, le spuntavano i piedi, ma non si poteva fare diversamente. L’abbiamo sepolta in fretta, sul retro di quello che resta dell’ospedale, vicina a tutti gli altri di quella notte, tanti fagotti bianchi in una fossa scavata in fretta, con le pale e con le mani. Poi siamo scappati via, perché è pericoloso stare in tanti insieme, è un bersaglio facile per i droni.

Adesso qui non c’è più nessuno, hanno portato via quelli ancora vivi, non so dove, perché di ospedali non ce ne sono più. Qui tra le macerie che fumano e la polvere bianca sono rimasto solo io. E la mano di mamma.

©Euro Carello, 2025

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