La bambina con la Barbie

Palestinians in the street in the Rafah refugee camp in southern Gaza Strip, on May 15, 2022

Se mi avesse lasciato un biglietto, se mi avesse detto: “Torno tra poco”, l’avrei aspettata in piedi.
Ché io così so fare. Mi riesce bene. In piedi con il vestito buono, quello delle feste. Con le scarpe rosa, le paillettes lungo tutta la gonna celeste plissettata a brillantini.
L’hanno cancellata all’improvviso assieme alla nostra stanza, alla casa intera.
L’hanno uccisa all’ora del nostro tè.
Io la tenevo stretta.
Ogni notte, la tenevo stretta.
Aveva paura del buio e delle esplosioni, ma parlava. Parlava con me. Mi teneva sotto il cuscino per proteggermi e intanto mi raccontava i sogni.
Nulla di che, confesso. Nulla che possa essere ricordato come poetico, come memorabile. Non erano sogni che avrebbero cambiato il mondo: un altro tè assieme, la festa del compleanno con le amichette; cose così.
Potevo immaginarlo: ogni giorno dal cielo piovevano schegge come farfalle d’argento. Forse non abbiamo mai visto il cielo senza fumo, metallo e fuoco, pensandoci. Potrei dire che somigliava alla mia gonna celeste coi brillantini, ma solo nel bagliore. Nei lampi di luce.
La voce che diceva “torniamo a casa”, la mano che aggiustava i miei vestiti rotti.
Potevamo essere felici, senza tanti fronzoli. Senza il divano lilla, l’ascensore della casa a tre piani tirato su con la cordicina, lo scivolo che mi lancia direttamente in piscina.
Quelle sono cose da bambine normali; e io so adattarmi, so stare al mio posto.
Se è un posto come lei.
Le sono arrivata tra le manine con un kit psicosociale, i pastelli colorati sono andati al fratello.
Stentava a crederci quando ci siamo viste. Fatte l’una per l’altra, si direbbe: tutte e due col sorriso accennato, tutte e due rigide, e con gli occhi lucenti.
Adesso guardo il mondo di traverso, ho perduto una gamba, ho un braccio schiacciato da detriti e sono completamente nuda, e senza scarpe. Non che mi importi granché.
La solitudine, invece, di quella sì che mi importa.
Lei è diventata una fotografia logora dentro la tasca del padre.
È diventata silenzio in un boato che non finisce. E io la racconto così.
La racconto da qui.

©Katia Colica

#ultimogiornodigaza
#gazalastday

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