ANCORA PIU’ LONTANO
La vera storia di Alireza Beiranvand
(Trilogia dei portieri parte 1)
È il 2003 e siamo nella provincia del Lorestan, Iran Occidentale. Alireza è un bambino di dieci anni che passa tutto il giorno con le pecore. La sua famiglia è poco distante da lui. Sono nomadi. La loro casa è la prateria. Di tanto in tanto suo padre Morteza lo chiama a sé, gli racconta aneddoti di quando era giovane, di come suo nonno gli avesse insegnato a raggruppare gli ovini con un fischio. Alireza ascolta sempre con un grande peso in fondo al cuore. Vorrebbe essere ovunque, ma non lì, in mezzo alle pecore, con suo padre. Si accontenterebbe pure di tenerselo a distanza, il vecchio. Magari di qualche centinaio di metri. Meglio ancora più lontano.
È il 2003 e siamo nella provincia del Lorestan, Iran Occidentale. Alireza riesce a ritagliarsi degli scampoli di tempo. Le pecore, di tanto in tanto, si godono il fresco, non hanno voglia di allontanarsi. Così gioca. È un bambino e come tutti i bambini sogna. I suoi giocattoli sono pietre. Le tira con tutta la forza che ha. Il gioco si chiama Dal Paran, consiste nell’arrivare il più lontano possibile con una lancio. E se ci giochi con un altro che tira forte quanto te, basterà calcolare il vento, il peso, l’angolo di tiro. Perché non è solo una questione di forza. L’importante è arrivare ancora più lontano.
È il 2005 e siamo nella provincia del Lorestan, Iran Occidentale. Va bene giocare a Dal Paran, ma gli altri bambini si stancano presto quando c’è Alireza. Perché Alireza è alto, Alireza è forte, Alireza riesce a tirare meglio di chiunque altro. Allora gli altri fanno presto a trovare un pallone di stracci e iniziano a tirarci dei calci. Con i piedi è un’altra storia, Alireza non ne piglia una, così un giorno finisce in porta, a sostituire un compagno che si è fatto male. I compagni di squadra sono contenti. Meglio tenerlo lontano dal pallone il più possibile. Tanto la palla non gliela passano. Meglio in porta, visto che non si può in tribuna, ancora più lontano.
È il 2006 e siamo a Sarabias, nella provincia del Lorestan, Iran Occidentale. Tutti corrono al campetto quando ci sono le partite, quando gioca Alireza. Perché Alireza dà spettacolo, perché Alireza riesce a tirare il pallone fino all’altra porta. È un portiere fortissimo. Gli allenatori locali se lo contendono. Lui gioca con lo sguardo alla palla e le orecchie attente al fischio. Non dell’arbitro, ma di suo padre Morteza. Quando lo sente deve scappare dalle pecore. Magari una è finita verso il monte e un’altra ha iniziato a salire, ancora più lontano.
È il 2011 e siamo a Sarabias, nella provincia del Lorestan, Iran Occidentale. Alireza sta giocando l’ennesima partita perfetta, non riescono a segnargli, le sue mani arrivano dappertutto. La gente esulta, lo acclama, grida a gran voce il suo nome. Così lui, il fischio di Morteza, non lo sente. La sera, il vecchio gli strappa davanti agli occhi la maglia e i guanti da portiere. Il calcio non è un lavoro, è solo una sciocchezza, questo gli dice. Alireza capisce che è giunto il momento di andarsene via. Verso il mare, verso nord-est, a Teheran. E se non troverà fortuna lì, ancora più lontano.
È il 2012 e siamo a Teheran, Iran Settentrionale. Alireza Beiranvand gioca nel Naft Teheran, una squadra di bassa categoria. Non viene pagato, non ha nulla da mangiare, non ha un tetto sopra la testa. Dorme in strada, accattona qualche boccone, ripensa al Dal Paran e vorrebbe tirare via la sfortuna come faceva con le pietre, da bambino. Però gioca e gioca bene. Così un compagno di strada lo prende a lavorare in un autolavaggio. Visto che è alto, gli fanno lavare i SUV. Ha le braccia lunghe, gli altri arrivano al bordo del tettino, lui arriva al centro, ancora più lontano.
È il 2015 e siamo a Teheran, Iran Settentrionale. Alireza Beiranvand viene convocato a sorpresa nella nazionale iraniana under 23. Diventa titolare inamovibile delle giovanili e poi della nazionale maggiore, con cui conquista prima la qualificazione alla Coppa d’Asia e poi quella al Mondiale di Russia 2018. Non ha mai viaggiato, Alireza, e non avrebbe mai immaginato di arrivare dove è arrivato. Ricorda le notti sui marciapiedi, la fame, l’umiliazione. Ma la vita ti prende con sé e ti porta via, ai confini della tua nazione e, qualche volta, ancora più lontano.
È il 2018 e siamo a Saransk, Russia. Di fronte c’è lui, il numero uno, Cristiano Ronaldo. L’Iran è dato per spacciato. Anche perché il Portogallo è Campione d’Europa in carica. Così Alireza piglia subito un gol, glielo segna Quaresma. Tutti pensano che finirà in goleada. Anche Alireza, che quando l’arbitro fischia per assegnare rigore al Portogallo, ricorda i fischi del padre, le pecore, il Dal Paran. Poi succede che Ronaldo quel rigore lo tiri e mentre il pallone arriva in porta, Alireza ripensi a quanto sia arrivato lontano e a quanto sarebbe bello arrivare ancora più lontano.
È il 2018 e siamo a Saransk, Russia. Alireza Beiranvand ha appena parato un calcio di rigore al giocatore più forte del mondo. I compagni di squadra non credono ai loro occhi. Una forza diversa li pervade. Ce l’ha fatta Alireza, ce la faranno anche loro. Giocano. Segnano. La partita finisce uno a uno. Gli iraniani hanno dato tutto, Alireza è diventato una stella. La sua faccia frastornata è sulle prime pagine di tutti i giornali. Arriva ovunque, in Europa, in America, persino sul tavolo di un pastore iraniano che per vedere la partita, la sera prima, ha dovuto camminare molto, fino alla prima televisione che non era al bar del paese, s’intende, ma ancora più lontano.
©Alessandro Morbidelli, 2018