Mille colori nascosti

In memoria di Mahsa Amini (21/09/1999-16/09/2022)

Teheran a settembre è piena di colori.
Io non c’ero mai stata.
Prima di oggi l’avevo vista solo in tv e oggi mi sembra di esserci entrata dentro a quella tv.
Dove vivo io, i colori sono sbiaditi: c’è il marrone delle montagne, il verde degli alberi e il blu scuro del fiume ma tutto il resto è grigio.
Sembra di vivere in una tv in bianco e nero.
A Teheran, invece, la vita è un’esplosione di colori.
Qui anche l’aria che si respira è impregnata di colore e perfino il grigio dei palazzi è di un grigio più bello.
Qui anche l’acqua del fiume è di un blu che più blu non si può.
Non l’avevo mai visto un blu così prima d’ora.
«La Torre Azadi è stata costruita negli anni settanta per celebrare i duemilacinquecento anni dell’Impero Persiano» esclama mio fratello quando arriviamo all’ingresso di una piazza enorme.
Io, però, non lo ascolto, sono affascinata dalla bellezza che mi circonda.
Qui le donne indossano vestiti che non avevo mai visto prima.
Tutti colorati come in un quadro astratto di Mohsen Vaziri.
Anche con il velo nero in testa, qui le donne sono bellissime.
Dove vivo io, il nero del velo accentua il grigiore del paesaggio.
Qui le donne lo sanno che quel velo nero non potrà mai coprirle davvero.
E lo portano con orgoglio, disinvolte ed eleganti come le modelle che ho sempre ammirato sulle riviste patinate degli anni Settanta che mia nonna conserva gelosamente.
«Andiamo al Grande Bazar?» chiedo a mio fratello e lui mi trascina in un labirinto di vicoli coperti, pieni di bancarelle che vendono spezie profumate, tappeti persiani, gioielli e stoffe colorate.
Mille colori che tolgono il fiato.
Alzo la testa per ammirare il Palazzo Golestan e le splendide decorazioni a specchio.
Mi gira la testa a guardare quel caleidoscopio di colori.
«Qui viveva la dinastia Qajar» esclama mio fratello che sembra un bambino in un negozio di giocattoli poi, si ferma davanti a me e mi sistema meglio l’hijab sulla testa.
«Qui non siamo in Kurdistan» mi rimprovera.
«Non puoi nascondere tutti questi colori sotto un velo nero»
rispondo mentre sistemo meglio il mio copricapo.
Mio fratello si guarda intorno e poi ricomincia a parlare con un tono più basso.
«Prima della Rivoluzione Islamica del 1979, l’Iran stava vivendo un periodo di modernizzazione e occidentalizzazione sotto lo Scià Mohammad Reza Pahlavi. La Rivoluzione Bianca includeva riforme
economiche, educative e sociali. Teheran era un centro di innovazione e cultura. Le università erano frequentate da uomini e donne senza restrizioni di abbigliamento, e le donne potevano scegliere di non indossare il velo, partecipando attivamente alla vita pubblica, lavorativa e politica».
«Pensi che io non li sappia tutte queste cose?» chiedo dispettosa.
«Le donne potevano ricoprire ruoli importanti nella società e nel 1963 ottennero perfino il diritto di voto».
«Vieni, adesso ti faccio vedere la strada più lunga della città» taglia corto mio fratello.
Ci incamminiamo su un viale alberato con negozi alla moda, caffè eleganti e gallerie d’arte.
Qui a Teheran, tradizione e modernità convivono in un paesaggio urbano affollato ma affascinante, con persone calorose e una cultura ricca di mille sfumature di colore.
Io Teheran l’avevo sempre sognata e oggi siamo qui perché tra tre giorni è il mio compleanno.
L’ho sempre vissuta nei racconti di mia nonna e oggi non mi sembra vero che sia qui in carne ed ossa.
Tra tutti questi colori mi sento viva come non lo sono mai stata prima.
«Fermi, cosa fate?» urla mio fratello ai due uomini in divisa che sono comparsi alle mie spalle.
Mi trascinano con forza verso un’auto.
Provo a liberarmi ma non ci riesco.
Mio fratello urla il mio nome.
Il mio velo nero cade sull’asfalto.
L’avevo solo allentato un po’.

©Gianluca Papadia

Scrittore, sceneggiatore e drammaturgo. 
Dal 2021 è il presidente della giuria della sezione narrativa edita del Premio Publio Virgilio Marone.
Dal 2025 è membro della giuria del Festival Internazionale Cinema Povero.

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