Buona caccia

Carrello della spesa di notte

Nella strada quasi buia, il vecchio dalla pelle scura spinge un carrello da supermercato lungo il bordo del marciapiede. Il sole ormai se n’è andato e l’aria si è fatta fresca. Il carrello ha una ruota difettosa, sobbalza di continuo e scivola di lato, con un toc sonoro che si trasmette alle mani nodose. Il vecchio tiene la testa bassa, per fare attenzione alle crepe dell’asfalto e soprattutto alle rotaie, ora che deve attraversare la ferrovia. Se una ruota si infila dentro, capace che si rompe o non esce più, e con la schiena che gli fa male, il vecchio non ce la fa, a tirarla fuori. Il carrello è pesante, c’è dentro tutto quello che ha.

Camminando adagio, un piede dietro l’altro, il vecchio sfiora con gli occhi le cose ammucchiate. Il sacco di plastica nera con dentro un paio di jeans sporchi di vernice gialla, un maglione verde, un po’ piccolo ma molto caldo, due mutande, i calzini di lana. Poi la bottiglia di plastica quasi vuota, il cartoccio con quello che resta del pane di ieri. Il giaccone blu con la manica scucita che d’inverno tiene abbastanza caldo, anche sulle panchine. Il manico di scopa con la spatola di gomma per i vetri ai semafori.

Di fianco, piegato con cura e avvolto nel nylon di un materasso perché non si rovini, il cartone che gli fa da letto e da casa. Mica un cartone normale, no. Uno di quelli belli spessi e lunghi dei frigoriferi, basta fare attenzione a non metterlo sul bagnato e ti ripara proprio bene. Semmai ci metti il nylon di sotto, così ti isola meglio.

Quando sente gridare, subito non ci fa caso. Anche se ormai è qui da un bel po’, l’italiano non lo capisce molto bene, specialmente quando parlano veloce. O urlano. 

I ragazzi li vede quando ormai gli sono addosso. Sono vestiti di nero, e quasi tutti hanno la testa rasata. Urlano.

Dicono “È lui”.

Dicono “Buona caccia, stasera”.

Gridano “Sei stato tu, scimmia”.

Gridano “Dove hai messo la bambina?”.

Quello grasso mette le mani sul carrello e si appoggia in avanti, bloccandolo con la pancia che esce fuori dal giubbotto. Guarda il vecchio, ma non negli occhi. E parla. Ha una voce strana, un po’ stridula, che non quadra con le spalle grosse, la pancia gonfia da birra, le mani dalle dita tozze, coperte di peli scuri.

“E il bambino biondo, qui alla ferrovia? Scommetto che sei stato tu anche per quello”.

Il vecchio lo guarda e non capisce. Di quali bambini sta parlando? Lui non ha visto nessun bambino. La sera i bambini stanno in casa, non girano per strada.

Gli altri ora non urlano più. Lo guardano con gli occhi stretti e i denti scoperti. Stanno curvi in avanti e battono le mani a ritmo, una contro l’altra, muovendo la testa. Ondeggiano piano sulle gambe e ritmano scimmia, scimmia, scimmia. Prima a bassa voce, poi sempre più forte.

Il vecchio non si muove, li guarda e resta abbarbicato al carrello con le mani magre, le vene in rilievo che guizzano sottopelle quando stringe le dita intorno alla barra rossa. Loro si scambiano sguardi d’intesa e ghignano, mentre si avvicinano adagio, continuando a ritmare scimmia, scimmia. Si sono messi in cerchio e si allargano, per tagliargli ogni via di fuga, come se ce ne fosse bisogno. A parte che è vecchio, poi la schiena. E le gambe, anche quelle non sono più quelle di una volta. Al terzo passo gli sarebbero addosso comunque.

Lui li guarda con gli occhi acquosi, sembra non capire. Uno dei ragazzi porta la mano all’indietro e poi la allunga verso di lui, lentamente, un luccichio in direzione della faccia. Adesso hanno smesso di ritmare. Lo scatto del coltello che si apre risuona secco nell’aria grigia. Un altro ha in mano una specie di tubo nero, grosso. Il più basso ha qualcosa di metallico intorno alle dita. Il vecchio si scuote e apre le mani, lasciando andare il carrello. Ormai sono molto vicini. Può vedere le piccole vene rosse nel bianco degli occhi, sentire il puzzo di fumo e di birra, mischiato al sudore. Si curva un poco in avanti. Sente la barra rossa del carrello che gli preme sulla pancia, mentre allunga la mano a frugare tra il sacco dei jeans e il cartoccio del pane, fino sotto il giaccone blu. Quello grasso si irrigidisce, fa per bloccarlo, poi si ferma e si mette a ridere, la striscia pallida della pancia pelosa che sobbalza tra le falde del giubbotto aperto sopra la canotta nera.

– Cazzo, il negro gioca con le bambole! Dai qua, scimmia, fa’ vedere.

Mentre il ragazzo allunga la mano, il vecchio si rialza con calma. Tra le dita ossute ha un pupazzo di stoffa. Una specie di bambola grezza, piuttosto sporca, messa insieme alla buona con uno scampolo di stoffa a righe da materassi. Gambe e braccia sono rigide e allargate, come nei disegni dei bambini. La testa è solo un rigonfiamento, con naso e occhi appena abbozzati, scarabocchiati alla meglio con un pezzo di legno bruciacchiato, o un sughero scaldato al fuoco di un accendino. La bocca è la traccia sbavata di un rossetto trovato chissà dove.

Gli altri si avvicinano curiosi, le gambe larghe nei pantaloni di pelle nera, i tacchi degli stivaletti che sbattono decisi sul selciato.

Il grassone si china sul carrello, allunga il polso tatuato e arriva ad afferrargli il braccio con le dita tozze piene di anelli. Il vecchio tiene lo sguardo fisso su di lui, sposta lentamente le dita, appoggia i pollici sugli occhi del pupazzo e inizia a premere.

Il ragazzo lascia di colpo la presa e scatta all’indietro, inarcandosi e scuotendo la testa, come per liberarsi di qualcosa, le braccia che sciabolano disordinatamente. Apre la bocca senza emettere suoni, boccheggiando. Ansima come se gli mancasse l’aria, barcolla e si porta le mani al viso. Il vecchio aumenta la pressione e l’altro comincia a urlare, con le mani sugli occhi. Il vecchio piega lentamente i pollici e preme, con forza, le unghie orlate di nero che scompaiono nella stoffa sporca. L’urlo si fa spezzato, diventa un singhiozzo, un rantolo. Il ragazzo scarta di lato, urta contro il carrello, scivola, inciampa. Quando istintivamente allarga le braccia a cercare un sostegno, il sangue che gli esce dagli occhi scorre giù per le guance, copre la pelle bianca sotto il mento e sulla gola, fino al ciuffo di peli scuri sopra la canotta. Perde l’equilibrio e cade di schiena sull’asfalto, nello scricchiolio sinistro di una bottiglia di plastica abbandonata. Il rantolo s’interrompe di colpo, bloccato dal colpo secco della nuca sul bordo del marciapiede. Resta fermo com’è caduto, la testa bloccata in un angolo innaturale, la bocca spalancata. Il sangue cola sul collo e nelle orecchie, luccica sul giubbotto nero, si allarga adagio sull’asfalto in una pozza scura.

Gli altri sono rimasti impietriti, neri e massicci contro la luce ancora debole dei lampioni appena accesi. Guardano senza capire, spostando gli occhi dal corpo immobile sulla strada alla figura esile del vecchio. Il colpo secco del carrello che sbatte contro il marciapiede li fa sobbalzare. Il vecchio si volta senza fretta e li guarda fisso. Quando allunga lentamente il pupazzo verso di loro, i pollici iniziano a muoversi. 


©Euro Carello

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