24 dicembre

«Cristo santo, Dasher, stai attento! Ma non lo vedi che cazzo fai? Mi hai appena vomitato sui piedi!»

Con un gesto schifato, Prancer allontanò da sé Dasher che, barcollando, fece qualche passo per poi crollare sulla panca, ubriaco fradicio.

«Questa volta abbiamo esagerato – piagnucolò Rudy – non oso pensare a quello che ci dirà il capo. Secondo voi ci licenzierà?»

Rudy era l’ultimo arrivato, credeva ancora in quello che facevano e aveva una paura fottuta di rimetterci faccia, nome e reputazione.

Certo da quella storia non ne sarebbero usciti benissimo: rissa in un bar attorno a un tavolo da poker, ubriachi da fare schifo, Dasher che aveva pure allungato le zampacce sulla cameriera (quando alzava il gomito, Dasher non sapeva distinguere una femmina da un bancomat, perdeva completamente il senso delle cose) e quei tre grammi di maria che gli sbirri gli avevano trovato addosso al momento della perquisa. Tre miserabili grammi: pochi per una condanna, abbastanza per far incazzare il capo che non condivideva la sua passione per le erbe rilassanti.

Con la testa che ancora girava per tutto il whisky ingurgitato, il vecchio Prancer – Pranch per gli amici – cercò di ristabilire un minimo di equilibrio coricandosi sulla panca. Niente da fare. Aveva ancora troppo alcool in corpo e subito il soffitto della cella prese a girare in tondo.

E dire che la serata era iniziata con le migliori intenzioni. Un goccetto fra colleghi prima del turno di notte e solite cose: gli auguri di Natale, lo scambio dei regali, soprattutto per chi aveva figli piccoli, un paio d’ore di relax prima del lavoro.

Il goccetto era diventato due goccetti, poi tre, poi qualcuno l’aveva messa sul competitivo.

La cosa avrebbe comunque potuto rimanere sotto controllo, pensò Pranch rigirandosi su quel tavolaccio scomodo, se soltanto quei due babbei di Don e Vix non si fossero fatti acchiappare come gonzi al tavolo da poker.

L’ Artic Cafè era un posticino defilato e tranquillo, nel cui retro, da sempre, i giocatori della zona si ritrovavano attorno al tavolo verde.

La polizia sapeva, ma chiudeva un occhio, a volte tutti e due, e ogni tanto qualche busta azzurrina dalle tasche del titolare finiva dritta in quelle del graduato di turno.

Piccole cortesie fra amici, le chiamavano.

Fino a quella sera, quando Don e Vix si erano seduti al tavolo verde.

«Ragazzi lasciate perdere – aveva detto Pranch – fra un’ora attacchiamo al lavoro.»

«Pranch, sei il solito guastafeste – aveva replicato Vix ingollando il suo quarto whisky – c’è tutto il tempo per un paio di mani con questi gentiluomini.»

Il rumore delle risate aveva coperto la risposta di Pranch, che se ne era uscito dalla stanzetta con un’alzata di spalle.

Quei due erano appena finiti fra le mani di giocatori esperti nello spennare polli, ma erano troppo ubriachi per poter ragionare. E forse anche lui oramai era troppo sbronzo per potersi imporre.

Tornò al tavolo dei colleghi per rendersi conto che nel frattempo i ragazzi avevano consumato un altro giro di bicchierini. Dash era fuori controllo e Pranch dovette alzare la voce perché la smettesse di insidiare la cameriera.

Il vecchio Pranch non aveva ancora finito di rimbrottare Dash che dal retro erano arrivate le grida di una lite furibonda e insieme alle accuse di barare al tavolo volavano i primi ceffoni.

Mezzo locale si era riversato nella saletta e ne era scaturita una scazzottata da film, con tanto di sedie rotte, bottiglie in frantumi e specchiere in briciole.

Ad avere la peggio, nemmeno a dirlo, Pranch e i suoi compari, che se da sobri non erano di certo dei boxeur, da ubriachi riuscivano a mettersi al tappeto da soli.

Quando la polizia aveva fatto irruzione nel locale, allertata da un cliente, i giocatori si erano volatilizzati, mentre Pranch e soci cercavano di rimettersi in piedi.

Fra proteste e gambe che li reggevano a fatica, erano stati caricati a forza sul furgone degli sbirri e portati alla stazione di polizia per il riconoscimento.

«Bari di merda – biascicò Vix riemergendo dal torpore alcolico – dannati bari di merda.»

«Vix chiudi quella fogna – protestò Don – o ti do quelle che non ti hanno dato al locale.»

«Silenzio! – li interruppe Rudy piagnucolando – Non vi sembra di averci messo già abbastanza nei guai?»

Solo l’arrivo della guardia evitò che la discussione degenerasse in lite.

«In piedi, lazzaroni, il vostro capo è venuto a prendervi.»

In fila per uno, i ragazzi uscirono dalla cella. Il capo stava finendo di firmare alcuni moduli per il rilascio su cauzione e li guardò alzando appena la testa.

Ancora brilli, malfermi, qualche occhio nero e un paio di ferite superficiali che avevano bisogno di acqua ossigenata e cerotti, non erano certo uno spettacolo edificante.

«Buonasera, capo…» cercò di dire Don.

«Zitti – lo raggelò subito il boss – dovete solo tacere. Il primo che apre bocca lo prendo a calci in culo da qui al Polo Sud.»

Muti e a occhi bassi, i ragazzi uscirono sul piazzale della stazione di polizia, dove li attendeva il furgone aziendale.

Il capo salì alla guida del furgone e li portò dritti in fabbrica, dove la moglie e Shinny, il suo braccio destro, li attendevano in ufficio con acqua, caffè, cerotti e disinfettante.

«Capo…»

«Ho detto zitti. Non voglio sentire una sola parola fino a domattina, chiaro? Di tutte le cazzate che mi avete combinato da che lavorate con me questa è la peggiore. Siamo in ritardo sulla tabella di marcia e non vi licenzio in tronco solo perché a quest’ora gli uffici di collocamento sono chiusi. Quindi ora vi fate medicare e iniziate a ingollare caffè e acqua fino a quando non mi sembrerete un po’ più sobri. E ringraziate il capo della polizia se domattina questa notizia non sarà su tutti i giornali. Nemmeno a dirlo, quello che mi è costato il suo silenzio verrà detratto direttamente dalle vostre buste paga!»

«Tesoro – cercò di rabbonirlo la moglie – adesso però calmati, ti fa male lavorare così agitato. Vatti a vestire, vai..»

Il vecchio imprecò, ma passando accanto alla moglie le allungò un buffetto sulla guancia.

La donna si voltò verso i ragazzi, che la guardavano avviliti.

«E voi… mi raccomando: silenzio. E per stasera basta colpi di testa. Intesi?»

I ragazzi annuirono senza aprire bocca.

«Seguitemi, vi aiuto a prepararvi» disse Shinny.

Quando il capo uscì dall’ufficio, nella sua sfavillante divisa rossa, trovò la squadra pronta e al completo.

«Oh oh oh – gridò il vecchio – forza Rudolph, Dasher, Dancer, Prancer, Vixen, Comet, Cupid, Donder, Blitzen!»

Uno schiocco di frusta e i ragazzi si misero a correre, poi la slitta si levò da terra con il suo carico di regali per librarsi in volo seminando una scia di stelline luccicanti.

©Viviana Gabrini, 2023

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