Le parole sono

Immagine: ninikvaratskhelia_

Mio padre diceva che le parole sono come le frecce, hanno la punta affilata, sanno arrivare al bersaglio.

Mio padre diceva che le parole sono come certi cani, le puoi ignorare per tutto il tempo, ma quelle se ne stanno lì, piantate accanto, preparate a farti compagnia.
Mio padre diceva che le parole paiono stronze, ma finiscono per consolare; meglio farle uscire, meglio: sì.
Ti ho detto che penso di essere sola, che mi sento smisuratamente sola, ti ho detto che vorrei amore, un amore di qualunque tipo, anche economico, in offerta, da supermercato. Maledetta me.

Te l’ho detto poco fa tra il panino pomodoro zucchine falafel speziati e la gazzosa al caffè, mentre guardavi il culo alla cameriera. Te l’ho detto in maniera distaccata, così come si ordina il caffè col Dietor: una bustina al posto dello zucchero, grazie; e il conto. Hai riso sguaiato per un periodo imbarazzante; alla fine hai risposto che è soltanto l’effetto dei miei film di merda, di quell’attricetta da quattro soldi che davanti alla telecamera piange per una proposta di fidanzamento; e nella vita reale chissà a chi l’ha data. Quanto si è divertita.

Ti ho risposto che ne ho parlato soltanto per via di mio padre, del suo ostinarsi a sputare parole, parole di tutti i tipi. Ti ho risposto così. Hai riso ancora a bocca larga, il tuo panino con l’hamburger di chianina salsa barbecue e rucola sputacchiato qui e là.

Mio padre diceva che le parole sono come l’inverno del ’58 dove la neve scendeva sul campo di pallone e i giocatori slittavano sull’erba gelata.
Perché le parole ti possono ghiacciare viva, fin nelle ossa, perfino dentro le orecchie, ma tu non smettere di giocare, figlia mia, gioca, rincorri la palla come Boniperti, uguale a Boniperti e infine tira in rete. Tira sempre in rete: oh, al massimo fai palo.
La cameriera ha portato lo scontrino, tu lo hai afferrato al volo con un gesto plateale ritenendoti il capo branco e le hai gettato un’ultima occhiata addosso, madida e invadente. Lei si è scrollata il tuo sguardo con un’alzata di spalla e l’indifferenza leggera della sua breve età.

All’improvviso mi sono vergognata di noi, di te con me, di come siamo diventati o forse di come siamo sempre stati; sono avvampata, bruciata viva.
Come se invece dello scontrino sul vassoio ci avesse portato le nostre mutande che forse avevamo tolto al volo e scordato da qualche parte, sopra il bancone, nel portaombrelli. Così le ho chiesto di dirmi il totale del conto. Ho diviso a metà calcolando ogni centesimo, aiutandomi con le dita; ho poggiato i miei soldi sul piattino: una divisione perfetta. Mi hai chiesto se sono scema, completamente scema.

– Adesso non più, stronzo.
Ho detto.
Ché le parole sono come le pietre, te le conservi per anni interi in tasca.
Poi il peso è troppo e ti tocca lanciarle.

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1 commento

  1. Ottimo, bello, di spessore, vivo e libero.
    Bel brano.

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