La scintilla

Immagine E. S.

-Domani viene un tizio, amico di Francesca, ci dà 500 euro per il tavolo e le panche.

-E magari gli diamo anche le sedie e una fettina di culo ciascuno, no?

-Paolo, ancora? Ma lo vuoi capire che dobbiamo svuotare casa entro il 15, tra venti giorni, esattamente. Ringrazia Dio che ci pagano.

-Soldi, soldi, non ti sento parlare di altro, come fai? Che cosa sei diventata? Mamma è morta e tu il giorno dopo eri qui a smontare tutto, che cuore hai? Sempre se ce l’hai …

-Non ti permettere di giudicarmi, Paolo, adesso non c’è nessuno più che ti spalleggia, siamo io e tu e visto che hai tirato fuori questa merda, parliamone, misuriamola pure questa sofferenza, vediamo chi ce l’ha più lunga e più autentica, guardiamo allo specchio i mostri che siamo diventati.

-Sara, io sono annichilito e tu mi tormenti ogni giorno che vede la luce, con pacchi da riempire, appuntamenti con gente estranea, avida e indifferente che gira per queste stanze, tocca i mobili, cerca l’affare, sulla nostra storia, sulla mia storia. Io voglio solo piangere, non alzarmi, non vedere un cazzo di nessuno.

-E certo, perché come sempre credi che ci sia qualcuno altro a spalare il fango, mentre ti crogioli nell’autocommiserazione.

-Sara, ma tu ti ricordi a questo tavolo, quanti pranzi, quante cene, quanta gente c’era. Ma tu ricordi chi eravamo?

-Paolo, io mi ricordo le messinscene da famiglia unita, coi ruoli ben cristallizzati che al momento giusto, come in un copione ormai sperimentato, scattavano, per cui mamma ti difendeva comunque, nonna ti umiliava senza pietà, papà, mangiava come un porco e Anita sgobbava, sempre per tutti. Ecco, io mi ricordo Anita a questo tavolo, curva a impastare, condire, disossare, sudare e arginare malcontento, tensioni e ipocrisia. Tu inganni pure la memoria e la storia, Paolo, quando pensi di diventare adulto e guardare la realtà?

-E tu, Sara, quando pensi di concederti la tenerezza e l’indulgenza prima per te e, poi, per gli altri? Guarda, dentro le panche ho trovato i diari di quando avevi tredici anni, ricopiavi la formazione della Juve, leggi, Boniek, Platini e poi cuori con la E. e la S.. Chi era E., Sara? Per chi ti emozionavi?

-Paolo, ma ti senti? Stai parlando di 45 anni fa, che vuoi che ne sappia? Ricordo solo che ero infelice, immensamente, compiutamente, rotondamente infelice. Ti basta?

-E ora, Sara, come sei? La guerra è finita perché non c’è più nessun nemico e perché non ha vinto nessuno, abbiamo perso tutti e tu credi che rimuovendo le macerie indistintantamente, staremo bene? Saremo felici? Perché è di questo che parliamo, non di brodini di serenità, non di patteggiamenti senili. Allora?

-Paolo, la felicità non la conosciamo e vorresti pretendere di riconoscerla?

-Io ero felice a questo tavolo, pensa che avevo inciso di nascosto una parola, mi batteva il cuore perché temevo che mi avrebbero scoperto, ma ha resistito quarant’anni, fino a quando mamma lo ha fatto restaurare.

-Che parola, Paolo? Figa? Milan? Mazinga? Gloria?

-No, scintilla…

-…

-…

-…sei un bastardo, Paolo, sempre passivo aggressivo

-Vieni qui, siediti al tuo posto, ti ricordi quando la notte mi svegliavo terrorizzato dagli incubi e tu mi dicevi, Paolo, cerca la scintilla e aggrappati alla sua coda di luce e la paura passa. A proposito, come ti era venuto in mente? Dove lo avevi letto?

-Da nessuna parte, una volta che ero andata con Anita al suo paese, faceva un freddo cane e lei accese il camino e mi spiegò che il segreto stava nell’ assecondare la prima scintilla, la più importante per la buona riuscita del fuoco. “Ricordati, mi disse, cerca sempre una scintilla, quando tutto sembra buio”.

-Ecco, vedi? Dammi la mano, tocca qui, avevo inciso in questo punto, chiudi gli occhi, Sara, cerca la scintilla, aggrappati a lei, lascia che ti accenda. Lo vendiamo il tavolo, vendiamo tutto, buttiamo, regaliamo, demoliamo, come vuoi tu. Ma cerca la scintilla, Sara, perché solo così ti passa la paura.

© Eleonora Scrivo

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