La dichiarazione

Devo fare una dichiarazione d’amore, disse ad alta voce a se stessa e al gatto che la guardava con mezzo occhio e la ascoltava con tre quarti di orecchio.
Lo disse con lo stesso tono con cui avrebbe detto: devo fare la dichiarazione dei redditi oppure devo pagare una bolletta in scadenza.
Come dire: fra il rassegnato e l’ineluttabile.
Mio immenso amore?
Orrifico.
Mio tesoro adorato?
Diabetico.
Amore mio grandissimo?
Ridicolo.
Cyrano non era ridicolo.
Abelardo ed Eloisa non erano diabetici.
George Sand e Alfred de Musset non erano orrifici.
Dove stavano accampate quelle parole che a milioni e milioni popolavano le labbra e le penne degli amanti eterni e immortali?
Sulla sua lingua, sotto le sue dita, comparivano solo bozzi di banalità sciatta e trista.
Perché lo amo? chiese di nuovo al gatto che, con immenso sforzo, aveva cambiato posizione ed ora le mostrava la schiena gobba e scura.
Per il suo modo di sorridere quando mi guarda, prese ad elencare.
Per come gli brillano gli occhi mentre facciamo l’amore.
Per come mi stringe fino a farmi mancare il fiato.
Per come mi canzona quando mi emoziono e balbetto.
Per come mi tranquillizza quando mi risveglio da un incubo.
Per come piega le labbra quando dico qualcosa che non va.
Per quella che sono diventata da quando lo conosco.
Per come ha saputo scovare la parte migliore di me.
Ma non sapeva come dirlo.

Gli aveva scattato decine di foto, al limite del maniacale, ma nessuna immagine era riuscita a soddisfarla.
C’era sempre qualcosa che le sfuggiva.
Non le riusciva di metterlo a fuoco dentro di sé.
Ti amo perché non mi è ancora venuta voglia di scappare, scandì ad alta voce.
A fuggire, in effetti, era sempre stata molto brava.
Dai letti e dalle situazioni scomode, dai legami che si facevano vincolo, dai vincoli che si facevano catena.
Con lui era riuscita a trovare un posto dove appoggiare lo zaino e disfare la valigia.
Senza occupare troppo lo spazio circostante, ovviamente.
Un po’ di qui e un po’ di là.
Qualche vestito nella valigia spalancata e qualche indumento sparpagliato su sedie e mobili.
Mai negli armadi.
Troppo impegnativo.
Mi casa es tu casa un corno.
Case e armadi separati.
E cucina e bagno.
Chi aveva scritto che c’era qualcosa di molto incivile nel condividere il proprio bagno con un altro essere umano? Marcela Serrano o Janette Winterson?
Non se lo ricordava.
Brave entrambe con le parole, mica come lei che da ore cincischiava con il suo senso di inadeguatezza.

Sbuffò dondolandosi sulla sedia: il foglio davanti a lei era pieno di disegni e ghirigori e numeri a caso ma non c’era nemmeno una parola di senso compiuto.
E poi le prese una smania, una voglia e le sembrò di aver capito quel che doveva fare.

Un’ora più tardi, lui rincasò e la trovò sommersa da valigie, abiti, scarpe e indumenti.
Lei, arrossata e sudata, stava rivoluzionando il suo armadio, pigiandovi dentro tonnellate di reggiseni, slip e gonne lunghe fino ai piedi.
Mi spieghi che diavolo stai combinando? chiese lui con cautela.
Cosa faccio? replicò lei con lo sguardo di un gatto sorpreso a rubare dalla tavola imbandita.
Cosa vuoi che faccia? Una dichiarazione d’amore, no?

©Viviana Gabrini, 2015 (tratto da I fili di Arianna, Primula Editore)
©Immagine Pixabay

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