Il tuo più tenue sguardo

Il tuo più tenue sguardo
facilmente
mi aprirà
benché abbia chiuso me stesso
come dita sempre mi apri
petalo per petalo”

La punta acuminata e metallica sfiora la mia fronte e io, di riflesso, sorrido: la sensazione, quasi impercettibile, di freddo contro la pelle accaldata dall’eccitazione è piacevole, così come la leggera pressione che avverto sull’epidermide.
Come un presagio di dolore che non ci sarà.
Bendata, non vedo i tuoi movimenti, ma percepisco chiaramente il tragitto del pennino: la corsa della I maiuscola, fiera ed elegante, la L che prende vita dalla I e poi piega decisa verso destra, uno spazio, quindi la T e via via le altre lettere che compongono il primo verso.
L’inchiostro asciuga in fretta e quando il mio viso è completamente ricoperto di parole, sento il tuo respiro, fresco, delicato sulle mie guance.

come la primavera fa
toccando accortamente
misteriosamente
la sua prima rosa”
Mi chiedi di voltarmi e io obbedisco. Nuda, bendata, metto a disposizione il mio corpo per la reificazione del tuo desiderio.
Una fantasia per una fantasia, era il patto.
«Sei perfetta» mi avevi detto la sera in cui ci eravamo incontrati.
E io avevo sorriso, forte delle imperfezioni che da anni mi fanno scudo e compagnia.
Mentre svuotavamo con calma una bottiglia di vino, mi avevi accarezzato l’interno dell’avambraccio con la punta delle dita.
Lo stupore, mio, di quando mi dicesti che Greenaway è il tuo regista preferito e la soddisfazione nel constatare che entrambi amiamo The pillow book.
L’imbarazzo, tuo, nel rivelarmi il tuo desiderio.

e io non so
quello che c’è in te
che chiude e apre
solo qualcosa in me
comprende
che è più profonda
la voce dei tuoi occhi
di tutte le rose”

Mi volto e riprendo a recitare i versi di Cummings.
«Scegli tu che cosa farti scrivere sul corpo» mi avevi detto.
E io ho scelto una delle liriche che preferisco: potente, nella sua semplicità semantica, incantevole, nella sua complessità sintattica.
Avverto il rumore del pennino che si intinge nell’inchiostro, il tintinnio della punta contro il bordo vetrino per far colare l’eccesso.
Ora la tua mano ha ripreso a scrivere e corre dalla spalla sinistra verso la destra.
Ogni tanto ti fermi, rimiri il tuo lavoro, soffi leggero sulla mia pelle perché l’inchiostro asciughi più veloce.
Tu lavori in silenzio, io apro bocca solo per recitare i versi di Cummings.
Non servono altre parole per celebrare questo rito pagano che ci rende intimi e vicini.
Quando scendi a scrivere sui miei lombi, sento qualcosa di caldo sciogliersi nel ventre.
«Hai una voce morbida e sensuale» mi avevi detto durante il nostro incontro. «È un piacere ascoltarti. Vorrei tanto che mi leggessi qualcosa.»
“nessuno
neanche la pioggia
ha così piccole mani”

Scritto sul corpo.
Come il romanzo di Janette Winterson.
Come la vita di ognuno di noi, incisa in ogni minimo dettaglio sulla mappa che portiamo addosso.
Basta saperla leggere, questa mappa minuziosa e dettagliata, e ci ritrovi tutta me: i miei desideri e le mie frustrazioni, il dolore e lo stupore del mondo, la voglia di distruzione e le mille resurrezioni.
Scritto sul corpo. Come i versi di Cummings, che mi commuovono ogni volta e mi ricordano che i poeti sono creature aliene, baciate dagli dèi.
Scritto sul corpo.
Come il destino di Nagiko e Jerome.
Scritto sul corpo.
Come il desiderio che nutri per me, ora che sono rinata, impreziosita dal lavoro artigianale delle tue mani pazienti.
«Chinati in avanti» mi ordini.
E io obbedisco. Sposto il peso sugli avambracci, affondo il viso fra i seni, sollevo i fianchi, mi espongo oscena.
E attendo.


(Racconto letto da Viviana Gabrini)

@Viviana Gabrini, 2019

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