Dino Campana elena-mearini

Dino voleva sostare, vivere la pausa che occorre quando la bellezza decide di accadere.
Voleva che assieme ai suoi passi si fermassero anche quelli del tempo, un arresto improvviso di tutti gli istanti. Perché così sarebbe stato possibile trattenere negli occhi il miracolo muto delle cose semplici, quello che dice tutto tacendo.
Ma la realtà avanza, deve macinare giorni, marciare alla maniera del soldato in guerra che non può fermarsi, pena il colpo del fucile nemico.
Dino e la realtà non potevano camminare fianco a fianco, due velocità diverse.
Uno procedeva per soste sul posto, l’altra per fughe in avanti.
Lui pagò presto e caro il prezzo della sua andatura, a quindici anni gli vennero diagnosticati disturbi nervosi e più volte la polizia lo strappò ai suoi pellegrinaggi nell’altrove per portarlo nel qui terribile del manicomio.
Dino cercava la terra della sosta, quel luogo in cui non è reato stare fisso con lo sguardo al cielo.
Nel 1907 fece un viaggio in Argentina, diretto a casa di alcuni lontani parenti, forse per mettere distanza tra la sua mente fragile e quella ammaccata della madre, donna che per lui fu ruggine sparsa nella ferita.
Non si sa come visse Dino in quel periodo, secondo Ungaretti nemmeno la raggiunse l’Argentina, più probabile che si fermò in un impreciso punto di mondo, dov’erano consentite le soste per sola bellezza.
Nel 1912 s’immatricola per la seconda volta presso l’ateneo di Bologna, segue la facoltà di Chimica e nel frattempo scrive le poesie che confluiranno poi nella celebre raccolta intitolata Canti Orfici. Chissà, se nello studio delle formule chimiche Dino cerca di comprendere i legami originari delle cose per afferrare il primo respiro di quel mistero che lo ossessiona: Perché, noi, qui?
Ma il vero viaggio senza ritorno Dino lo farà incontrando la scrittrice Sibilla Aleramo.
Lei, che rimase “ incantata e abbagliata assieme” davanti ai versi dei Canti Orfici, rappresentò per il poeta la crocefissione al centro di un amore irrimediabile.
Dino in questa relazione si perse, la sua caduta ebbe quella durata illimitata che l’umano non può sostenere, perché nessuno di noi è fatto per l’infinito. Sibilla lo sapeva bene, e dopo due anni decise di lasciargli la mano. Dino continuò a cadere da solo.
La sua sosta fu il precipizio incessante che abita dentro ogni grande poeta.

IN UN MOMENTO 
In un momento
Sono sfiorite le rose
I petali caduti
Perché io non potevo dimenticare le rose
Le cercavamo insieme
Abbiamo trovato delle rose
Erano le sue rose erano le mie rose
Questo viaggio chiamavamo amore
Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose
Che brillavano un momento al sole del mattino
Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi
Le rose che non erano le nostre rose
Le mie rose le sue rose
P. S. E così dimenticammo le rose.
© Elena Mearini, 2021

 

Elena Mearini

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