
BACI DA FAVOLA
Quel pomeriggio Biancaneve in babydoll nero lavò i piatti del pranzo. Pulì il piano cottura e subito dopo preparò un caffè per il principe. Non si saprà mai se sia stato un buon caffè.
Aveva già aiutato i figli con i compiti di scuola e lavato loro la faccia per scuoterli dalla stanchezza.
Tutto questo senza trascurare, per la verità, di lasciare scoperto il collo dalle ciocche di capelli per farselo baciare dal principe azzurro che però, intanto, mandava inviti su un social network per l’evento della sagra delle sarde fritte e probabilmente per questo motivo non aveva tempo nemmeno di guardarle le gambe, ché tanto di gambe da guardare se ne trovano ovunque, se serve. Di gambe da guardare, in giro, ce n’è quante ne vuoi.
Biancaneve avrebbe potuto accettare la corte di Barbablù giusto per quella storia dei baci sul collo – io lo vedo come mi guarda quando passo davanti alla sua fortezza di case popolari, lo sento cosa mi dice – ma in fondo le gambe le voleva guardate dal principe suo. Forse per amore, forse per passione. Forse per educazione cattolica.
E così pensò che sarebbe stato giusto continuare ad ascoltare i consigli della posta di Donna Letizia: Fatevi trovare sempre carine e curate dal vostro uomo. Quindi si tirò una pennellata di fard, un righino di matita nera sugli occhi e andò a pulire il vomito del figlio minore. Il principe si sfilò la canottiera azzurra macchiata di sugo ciabattando verso il bagno e lei lo guardò come si potrebbe guardare il Bronzo B di Riace ma lui non se ne accorse perché giusto in quel momento gli arrivò un WhatsApp al quale rispose velocemente per poi infilarsi la camicia, azzurra, e passarsi il gel.
A stasera, disse lui uscendo; però sorrise dicendolo e per questo Biancaneve lasciò perdere e non pretese nulla di più, nemmeno gli ricordò il sacco di spazzatura da buttare, dopotutto i cassonetti sono a centocinquanta metri, si disse, e se li percorro ogni giorno combatto la cellulite e le mie gambe viste da sotto il babydoll continueranno a essere uno spettacolo, non si sa per chi ma un vero spettacolo, ragazzi. Si cambiò – per ora il babydoll non serve più – e scelse un jeans aderente con top appena scollato e infradito indiane per stare comoda e portare velocemente i bambini da nonna Grimilde. Al ritorno spedì una e-mail al suo capo così da fargliela avere pronta per la mattina dopo, cambiò le lenzuola, caricò la lavatrice. Poi iniziò a cucinare per cena. Mentre il sugo sobbolliva sfilò via la cintura dall’accappatoio riposto nel cassetto e la fissò per un capo nel tassello su cui era agganciato lo scaldabagno. Sull’altro capo annodò una specie di cappio, così come riuscì a farlo, non benissimo, insomma. Lo annodò pressappoco come aveva immaginato di fare per troppo tempo e, solo per questo, lo aveva previsto più semplice. Salì sul bordo della vasca e si infilò la corta corda al collo, collo che era ancora scoperto dalle ciocche di capelli per quella storia dei baci che, comunque, non erano arrivati. Che non arrivavano più da anni.
Avrebbe voluto essere ancora bellissima durante la sua morte. Avrebbe potuto, però, se la sua morte fosse stata diversa. Se qualcuno, per assurdo, le avesse fatto mordere una mela avvelenata ecco: lei sarebbe diventata uno splendido cadavere dai lineamenti perfetti da esporre persino in una bara di cristallo, un bellissimo cadavere; soltanto un po’ bluastro.
Dice che il veleno conserva.
Ma a Biancaneve serviva qualcosa di diverso, serviva qualcosa che la reggesse, che la tenesse su mentre moriva via. E una corda al collo, in questo caso, era perfetta, una corda al collo non ti lascia scappare.
Non pregò: o almeno non le riuscì benissimo, però pensò a tutte quelle storie senza senso che si considerano in questi casi. Tipo le cose che potrebbero riportarti in vita miracolosamente, prima tra tutte un bacio del suo principe. Ma un bacio vero, non certo quegli stampi veloci che le dava prima delle partenze o di ritorno a casa la sera. Con quei baci del cazzo non ci si fa nulla, pensò, non rianimi un vivo figurati un morto. Quindi niente, si disse, sarò un cadavere orrendo e deforme. Stava per saltare giù dal bordo della vasca quando sentì uno schianto arrivare dal salotto. Sfilò veloce la cintura dal collo e si precipitò nella stanza. Trovò il principe azzurro steso a terra supino, in un lago di sangue. A una prima occhiata sembrava che, rientrando in casa, fosse scivolato sulla chiazza di piscio del cane che si era dimenticata di pulire. Il principe, con alte probabilità, aveva poi sbattuto violentemente la testa sul bracciolo in legno del divano. Stentava a respirare. Aveva gli occhi sbarrati e rantolava chiedendo aiuto.
E certo che ti aiuto, gli disse Biancaneve, ma glielo disse con dolcezza: ti aiuto io, tesoro. Ho un metodo sicuro, ora ti aiuto, ecco, aspetta: ti aiuto.
Allora gli sollevò la testa con le due mani prendendogli il viso teneramente tra i palmi e avvicinandosi lentamente gli stampò un bacio a ventosa. Un bacio molto lungo, comunque; anzi lunghissimo, tanto per non lasciare nulla di intentato.
Quindi lo mollò nel pavimento per andare in bagno a sciogliere il cappio e rimetterlo dentro il cassetto, proprio accanto all’accappatoio.
© Katia Colica, 2016