Un soggetto per un breve racconto

Nina: La sua vita è bellissima!

Trigorin: Ma che ci trova di particolarmente bello? (guarda l’orologio) Devo andare subito a scrivere. Scusi, non ho tempo… (ride)

L’orologio di Trigorin, come tutti gli orologi, procede in avanti, dice che il tempo si trasforma continuamente in passato. Dopo l’incontro con Nina che gli ha dischiuso nuovamente la pre-visione di un futuro, Trigorin percepisce di non avere tempo, guarda l’orologio come gesto di conferma della sua mancanza di tempo, come faceva Treplev nel primo atto per ben tre volte. Il sentimento della fine lo proietta in una dimensione differente, per la prima volta anche Trigorin ha fretta, sente che non può perdere l’attimo opportuno, esattamente ciò che sentiva Treplev nel primo atto. Nina è la sua opportunità da cogliere per non morire, esattamente come lo era per Treplev. La ragazza è dunque la fonte di salvezza futura per entrambi gli uomini, che vivono seppur in maniera differente una vita presente infestata da ossessioni e “pensieri molesti”. Quelli di Treplev li abbiamo già incontrati, Trigorin ora confessa i propri:

Trigorin: […] Vi sono delle idee ossessive: quando uno ad esempio, pensa sempre, di notte e di giorno, alla luna e anch’io ho una mia simile luna. Giorno e notte mi affligge un solo pensiero molesto: io devo scrivere, io devo scrivere, io devo…

L’ossessione crea un circolo, annulla il giorno e la notte ed è sintomatico che l’ossessione di Trigorin sia come quella per la luna che è astro che governa le maree è misuratore del ciclo temporale. Il tempo di Trigorin è un continuum identico senza distinzione tra il giorno e la notte, senza scansione temporale, una sorta di eternità fuori dal tempo, una eternità già finita che vive sulla pagina delle sue novelle, dei suoi appunti. Egli vive la cupa Età del ferro, che Esiodo descrive così:

Questa è infatti l’era della stirpe di ferro; né mai passeranno

un giorno immuni da fatica e dolore, struggendosi

anche di notte: e gli dei daranno loro duri affanni,

e tuttavia anche per loro i beni saranno ai mali mischiati.

Il paragone tra l’uomo di Esiodo e l’uomo di Cechov esplode nelle parole di Trigorin ove egli gioca ripetutamente con la metafora del giorno e della notte. E proprio perché figlia di questa natura dolente e ossessiva, di questa eternità già finita, la letteratura di Trigorin non è memorabile, la sua fama è mortale, attiene ai circoli della capitale, non è fama immortale, non è la gloria degli antichi, il kléos che conferisce immortalità:

Trigorin: E il pubblico legge: “Si, simpatico, pieno d’ingegno… Simpatico, ma ben lontano da Tolstoj” oppure: “Una bella cosa, ma Padri e figli di Turgenev è migliore”. E così fino alla lapide sepolcrale tutto sarà solo simpatico e pieno d’ingegno, simpatico e pieno d’ingegno – nient’altro, e, quando sarò morto, i conoscenti, passando vicino alla tomba, diranno: “Qui giace Trigorin. Era un bravo scrittore, ma non certo un Turgenev”.

In questa visione escatologica di un futuro dopo la morte, Trigorin racconta la sua frustrazione presente, il mancato riconoscimento tra i grandi della letteratura del passato, della generazione precedente alla sua. Solo i conoscenti lo ricorderanno. Ma Nina non riesce e non può a comprendere il problema dello scrittore di successo, per lei Trigorin vive una condizione invidiabile e privilegiata, quasi divina:

Nina: […] Se io fossi uno scrittore della sua tempra, dedicherei tutta la vita alla folla, riconoscendo però che potrebbe esser felice soltanto elevandosi alla mia altezza, ed essa mi porterebbe in trionfo.

Trigorin: Si, in trionfo… sono forse Agamennone, io?

Per quanto menzionato accidentalmente, il nome di Agamennone non sembra casuale, in quanto appartiene direttamente al mito del Peloponneso. Agamennone, figlio di Pelope, fu uno degli antichi numi tutelari del Peloponneso, così come il famoso scrittore Trigorin è il nume tutelare nella tenuta di Sorin, soprattutto agli occhi di Nina. Egli sembra essere una imitazione ironica del valoroso eroe greco. Menzionato in relazione alla pusillanimità di Trigorin, questo nome evoca numerose allusioni comiche. In contrasto con la sua immagine archetipica, Trigorin è una perfetta incarnazione di docilità e mancanza di spina dorsale. Egli è incapace di decidere alcunché autonomamente, e ogni piccola insistenza gli fa cambiare idea, non ha una volontà propria, come dirà nel terzo atto. Dopo aver notato il gabbiano morto sulla riva del lago sente il bisogno di scrivere, di aprire il suo taccuino e prendere appunti, trasformare il presente in passato:

Nina: Che scrive?

Trigorin: Così, prendo appunti… un soggetto mi è balenato… (rimettendo in tasca il taccuino) Un soggetto per un breve racconto: sulla riva di un lago vive sin dall’infanzia una ragazza giovane come lei; ama il lago, come un gabbiano, ed è felice, ed è libera, come un gabbiano. Ma giunse un uomo per caso, la vide e, per passare il tempo, la rovinò, come questo gabbiano.

L’inquietante proiezione letteraria di Trigorin sembra trasformare la proiezione futura, lo skopos di Nina, in un racconto, quindi in qualcosa di già accaduto. Con la scrittura Trigorin annulla il futuro, e la sua imprevedibilità, per trasformarlo in passato, in un già accaduto, in un successo. Leggendo cosa pensava Platone della scrittura, comprenderemo meglio che cosa sta facendo realmente Trigorin: “la scrittura presenta questo difetto: è cosa del tutto simile alla pittura. […] I prodotti della pittura si presentano quasi fossero vivi. Ma prova a interrogarli: silenzio assoluto. Così pure le opere scritte. L’impressione prima è che esse parlino come esseri pensanti. Ma, ove tu rivolga loro qualche domanda di schiarimento di ciò che intendono, non ti rispondono che una sola cosa, e sempre la stessa.” I prodotti della scrittura rispondono sempre la stessa cosa. Non evolvono. Sono cristallizzati in un eterno presente. Trigorin desidera “imbalsamare” nel suo taccuino la giovinezza di Nina. Evitare che lei possa invecchiare, non essere più la ragazza di diciotto-diciannove anni che lo scrittore desidererebbe essere almeno per un ora. La scrittura consente questa illusione. Se Nina nella realtà invecchierà, deperirà, la sua immagine imbalsamata nelle parole del racconto di Trigorin sarà immutabile, eterna, svincolata dalle leggi del télos, come un ritratto di Dorian Gray. Per lo stesso motivo il gabbiano che ora giace morto ai piedi di Nina, verrà fatto imbalsamare da Trigorin, il quale poi nel quarto atto se ne dimenticherà, così come dimenticherà, dopo averla posseduta e imbalsamata in un racconto, anche la ragazza che si paragona al gabbiano. Se in Omero la parola pronunciata – quella che esce “dal recinto dei denti” ed è “alata” come uccello, “presentifica” l’essere – per il modesto Trigorin la parola scritta trasforma l’essere in passato, imbalsamandolo. È interessante a proposito notare che quando lo scrittore parla della ragazza, ovvero di Nina, usa tempi coniugati al presente, mentre quando parla dell’uomo giunto per caso, usa tempi coniugati al passato remoto. Egli è l’agente di morte che trasforma tutto in passato. Ma allora perché Trigorin dimenticherà il gabbiano? Nel suo Lete, l’arte dell’oblio lo studioso tedesco Harald Weinrich, ci informa che “la strategia più efficace della “letotecnica” arte del dimenticare, messa a punto da Aleksandr Romanovic Lurija, consisterebbe, paradossalmente, nello scrivere su carta ciò che si vuol dimenticare. Certe volte basta questa operazione a cancellare il contenuto mnemonico in questione.” Dunque la parola scritta è serva dell’oblio, la contrario della parola detta omerica che attraverso l’ascolto genera immortalità e memoria. La letteratura di Trigorin imbalsama il vivente e serve a dimenticare, ad allontanare dal cuore. il verbo scordare/scordarsi è una derivazione negativa, di cuore. Nella psicologia antica il cuore era considerato la sede della memoria. Il significato del verbo scordare può quindi essere parafrasato come perdere dal cuore. Le motivazioni dell’”uomo giunto per caso” nel racconto di Trigorin, sembrano futili – egli rovina la ragazza “per passare il tempo” – ma se pensiamo che nel gioco meta-letterario della commedia “l’uomo giunto per caso” si rivelerà essere lo stesso Trigorin, e se consideriamo che la sua esistenza è tutta proiettata verso il passato, nel far passare ciò che è in ciò che non è più ciò nello spingere lo scorrere il flusso degli eventi, allora comprendiamo che la rovina della ragazza ha una motivazione tutt’altro che futile. Trigorin, l’uomo giunto per caso, ha bisogno di far passare il tempo” per sopravvivere, anche a costo di rovinare la vita di un’altra persona, il processo di creazione diviene così un processo di distruzione, un sostituto estremo della vita. Sicuramente però questa battuta profetica contiene in se anche una determinata misura del tempo: nel futuro di Trigorin Nina non potrà che essere “un breve racconto”, cioè una storia veloce, per passare il tempo, brandello di esistenza rubata, un personaggio episodico, se così non fosse, diventerebbe vita vissuta e da vivere, come Arkadina che imprigiona Trigorin nella routine. Il soggetto appuntato da Trigorin corrisponderà effettivamente allo sviluppo della sua relazione con Nina; come anche il proposito di Treplev di uccidersi, espresso poco prima sulla riva del lago, troverà nel colpo di rivoltella finale la sua tragica realizzazione; e come anche il desiderio di Nina di essere artista ad ogni costo. E sarà un costo altissimo.

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