Rappresentare l’eterno

All’inizio del primo atto de Il Gabbiano Il teatro, la costruzione dell’uomo, non consente la vista del lago, creazione di Dio. Il lago – che si trova in quel luogo da sempre, evidentemente prima ancora che venisse costruita la tenuta di Sorin – viene nascosto, celato alla vista, dal teatro che, si dice, è “imbastito in fretta per uno spettacolo di famiglia”. Il teatro è dunque strumento momentaneo per sortire un effetto nel presente: serve a Treplev per impressionare la madre Arkadina. Mentre il lago, con la sua antica forza magnetica e oscura, sortirà effetti nel futuro, influenzerà la vita dello stesso Treplev. Il lago è un luogo simbolico che riflette ciò che accade attorno.

Ogni parola pronunciata vicino al lago prima o poi diventerà realtà, come in una fiaba nera. Notate la contrapposizione tra il lago che è eterno, per sempre, da sempre, e il teatro che è momentaneo, contingente. Quando il dottor Dorn farà i complimenti a Treplev per il suo dramma gli raccomanderà di rappresentare “soltanto ciò che è importante ed eterno”. È un invito tralasciare il momentaneo, a non usare il teatro come strumento per scopi contingenti, svilendone così l’originaria funzione sacra, ma a rappresentare solo ciò che più si avvicina all’eternità, alla natura, a Dio. Ora se facciamo un viaggio a ritroso nel tempo sino al 1435, quando il pittore fiorentino Leon Battista Alberti formulava le regole di prospettiva che domineranno la pittura per i successivi quattrocentocinquant’anni, possiamo cogliere il significato nascosto delle parole di Dorn.

Leon Battista Alberti voleva fornire uno strumento universale affinché tutti i pittori potessero creare uno spazio pittorico unitario in cui fosse visibile l’ordine di Dio, l’armonia della natura e le virtù umane: ovvero ciò che è “eterno ed importante”, secondo le parole di Dorn. Ne Il Gabbiano, lo scontro tra questa aspirazione ideale e la contingenza materiale determinerà il destino di Konstantin Gavrilovic. Il “teatrino” è stato imbastito in fretta, e probabilmente anche il dramma che vi sarà rappresentato è stato scritto in fretta da Treplev, per l’arrivo della madre Arkadina, per poterne “accalappiare la coscienza” con “una rappresentazione di famiglia”, come “la trappola per topi” congegnata da Amleto. All’interno della scena costruita seguendo i criteri della prospettiva che organizza ciò che è eterno, secondo la lezione dell’Alberti, Treplev colloca lo strumento del presente e contingente, la sua commedia. Proprio questo scollamento, costante nell’opera di Cechov, genererà in ultima istanza la tragedia di Kostja.

Treplev sembra avere fretta di rappresentare la sua commedia nel teatrino “imbastito in fretta”, sembra essere costretto dalla morsa del tempo che passa. Il concetto di “fretta” acquista un significato soltanto in relazione ad un evento esterno. Ad esempio, io posso camminare in fretta per evitare di arrivare in ritardo ad un appuntamento, il mio passo sarà affrettato soltanto in relazione all’evento esterno, l’appuntamento, che determina una scansione temporale di riferimento. L’evento esterno di riferimento per Treplev è la visita della madre nella tenuta. È un evento raro, come avremo modo di scoprire e allora Treplev deve cogliere l’opportunità, ora o mai più, mettersi a scrivere, organizzare uno spettacolo, un theorema come lo chiamavano i greci, per dimostrare alla madre di essere cresciuto, di essere pronto per entrare nel suo mondo, nel mondo dell’arte. La madre è l’agente dell’azione che determinerà il destino del povero Kostja. La figura temporale che determina le azioni di Treplev è sicuramente il kairos, il tempo opportuno, o – secondo la definizione di Machiavelli – “il Tempo che afferra l’occasione per la chioma”. La parola Kairos deriva dalla radice indo-europea krr, in greco è accostabile al significato del verbo kerannymi (mescolare, temperare). Kairos significherebbe dunque la miscela, il giusto accordo, la mescolanza opportuna e potremmo quindi tradurlo come tempo opportuno, tempo debito.

Nel teatro di Cechov la fretta può essere quindi considerata un corollario del kairos, il tempo temprato. Per cogliere l’occasione che il tempo offre nell’istante in cui si palesa, i personaggi cechoviani agiscono in fretta: il teatrino è stato imbastito in fretta; Kostja, come vedremo, ha fretta di alzare il sipario, e più avanti nel terzo atto Arkadina avrà fretta di partire, Masha avrà fretta di sposarsi pur senza amore con Medvedenko, Polina Andreevna avrà fretta di concupire Dorn. La fretta è anche l’argine contro il buio della notte incalzante, prima che l’oscurità avvolga la tenuta e il lago, perché prima che sia troppo tardi, prima che l’stante opportuno svanisca per sempre svilendo i nostri destini, bisogna afferrare il kairos. Questo sembra suggerirci Anton Pavlocic all’inizio de Il Gabbiano

©Matteo Tarasco

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