Ma dove vado se parto? [4] di Anna Bertini

COME È BELLO IL MIO MARIO
(12 febbraio 2008-2018)

Volevo parlare di Mario per tramite della musica, ma non ho potuto fare a meno di iniziare con la famosa camelia che è ancora qui, sul tavolo tondo. Facciamo che sta per Verdi. È proprio quel tipo di camelia che usava la Traviata, quella che ogni tanto regala un fiore screziato di rosso. Dieci anni fa vidi la prima dischiudersi, il dodici febbraio. Una tutta bianca sul mio albero secolare. Stavo dietro ai vetri come un uccello in gabbia, sarei voluta volare da lui ma mi avevano costretto a tenermi lontano per non nuocere. A nuocere con i miei batteri e la febbre a quaranta non ce l’ho fatta. A essere lontana e non poterlo salutare sì.
La prima camelia bianca mi ha guardato; ha visto i miei occhi secchi che non riuscivano a piangere, increduli nel sole pulito di quel giorno d’inverno, pulito come il suo cuore a cui non tornava il sangue. Lei mi ha visto e io l’ho vista, era un addio. Amami quanto io ti amo, addio Mario, mio padre.
In quel momento, mentre Verdi mi risuonava nelle orecchie con il suo saluto definitivo e non desiderato – quello della Traviata a Alfredo – ho capito perché non sopportavo la scena della Tosca dove Mario deve fingere di cadere morto e Tosca lo trova così bello.
Puccini,  da veri toscani lo preferivamo: mio padre passionale e focoso esattamente come lui, come la sua musica. Tutte le volte mi sentivo a disagio quando Tosca  guardava Mario davanti al plotone, a Castel Sant’Angelo.
Tosca: 
Non rialzarti innanzi 
ch’io ti chiami.
Cavaradossi:
 No, amore!
Tosca:
 E cadi bene.
Cavaradossi:
 Come la Tosca in teatro.
Tosca:
 (vedendo sorridere Cavaradossi) 
Non ridere…
Cavaradossi: 
Così?
Tosca: 
Così.
Tosca:
 Com’è lunga l’attesa! 
Perché indugiano ancor?… Già sorge il sole.. 
Perché indugiano ancora?… è una commedia, 
lo so… ma questa angoscia eterna pare!…
(l’ ufficiale e il sergente dispongono il plotone dei soldati impartendo gli ordini relativi)
Ecco!… Apprestano l’armi…
Com’è bello il mio Mario!
Tosca, ma lo capisci che lo uccideranno? Che non è finzione, ti imbrogliano? Com’è bello il mio Mario…. Io lo so che non ne uscirà vivo.
La scena, proprio quella, per noi è ambientata in una stanzetta buia d’ospedale dove l’ho accompagnato per la Tac, mio padre. Era magro da paura, un po’ giallo, improvvisamente vecchio mentre fino al giorno prima dimostrava venti anni meno. Com’è bello il mio Mario. Lo guardo e mi pare ancora bello nonostante tutto, e lo so, improvvisamente lo so, che non lo porterò più fuori di qui. Lo so in quel momento e mi ferisce, vorrei essere Tosca e illudermi. Vedi come finge bene babbo, come la Tosca in teatro! Usciremo da questa stanza asfittica, non troveranno nulla di  importante – solo l’età, che c’è – e andremo a casa! Invece aspetto il responso e so tutto già.  So quello che Tosca non sa. Com’è bello il mio Mario. Il plotone ha già sparato, e non è una salve.
Oggi come allora alla Tosca non voglio pensarci. Passati dieci anni da quel giorno di sole deciso, quasi caldo, penso a lui e sento un’altra musica. È il concerto per pianoforte e orchestra n. 21 in Do maggiore di Mozart, il  KV467. Lo ascoltavano con mamma sul nastro magnetico, nel mangiacassette della Seat Ibiza – l’ultima sua auto – quella dallo sterzo inamovibile. Il tragitto sui viali a mare verso Antignano, le curve delle colline direzione le Terme, in salita sull’Appennino per le vacanze estive. Adesso  il concerto parte e io li vedo. L’auto è ancora nuova, abitano a Livorno nell’appartamento di famiglia. Sono usciti di casa per andare a fare la spesa al Mercato Centrale, la Seat percorre la grande arteria del quartiere, il Viale Carducci. Il nastro magnetico è un po’ usurato, ogni tanto gracchia ed è già molto se il mangiacassette non  lo ingurgita. Talvolta capita, loro con pazienza lo estraggono per riavvolgere, togliendo le pieghe che si sono formate. È pronto per essere riascoltato. Mario, come me, è da sempre beethoveniano mentre la mamma preferisce Mozart.  Sul Piano Concerto Numero 21 si incontrano a metà strada.
Nel largo abbraccio delle note, riescono a bagnarsi i miei occhi. Mi sono ricordata di una volta che la mamma ha detto, ricordando: “in quei momenti forse insignificanti, con quella musica intorno, ci siam sentiti spesso felici”.
Mario adesso mi guarda dal suo mondo in do maggiore, sorride. Com’è bello. Mozart ha cancellato tutto, e nel sole placido dietro la camelia lo vedo ancora qui, con noi.
© Anna Bertini, 2018

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