Le antipatiche [36] di Anna Martinenghi

foto estratta da Pinterest

CASTANO IRIDESCENTE NR. 3

“Zia Yenne”. Odio quando mi chiamano così. So che è una sciocchezza rispetto a tutto il resto, ma ogni volta che i bambini mi chiamano in quel modo rischio di esplodere. Non che succeda spesso: li vedo solo due volte l’anno, per le vacanze estive e pochi giorni a Natale. Il tempo di tornare a essere un’emerita sconosciuta e dover ricominciare tutto da capo la volta successiva. Riconquistare la loro fiducia, ridiventare parte di un mondo da cui sono esclusa. Però stanno crescendo, spero che col tempo sarà più facile essere ricordata. La zia che vive dall’altra parte del mondo.

Dovrei tingermi i capelli. La ricrescita si vede, ma farmi la tinta da sola mi dà noia. È una cosa che non mi riesce bene, ma evito di andare troppo spesso dal parrucchiere, anche se mi piace moltissimo essere coccolata. Sarebbe bello tenere i capelli bianchi, o almeno provarci. Tanto non farebbe differenza. Non mi riconosco più nemmeno io. Portare i capelli così scuri non mi dispiace, mentre alle lenti castane non mi sono mai abituata e nemmeno alla nuova faccia. Quando incontro il mio sguardo in una vetrina o in uno specchio ancora mi stupisco, ho bisogno di un attimo per ritrovarmi.

«Chi sono?».

Non è facile rispondere. Sono ciò che faccio: il mio lavoro in biblioteca, le lunghe passeggiate nel pomeriggio, i libri la sera. Tutte cose che mi coincidono, perché le scelgo. Ho la libertà e l’immenso privilegio di poterle fare. Sono ciò che amo: l’uomo con cui condivido la vita e che me l’ha cambiata. Letteralmente. Se non ci fosse lui, niente avrebbe un senso. Invece ora ce l’ha. Sono il mio futuro: i miei progetti, tutto ciò che ancora ho da fare, anche se mi sembra di non aver abbastanza tempo davanti. Sono anche quel che sono stata e ciò che non ho fatto, ma non posso farmi sopraffare dalla marea dei ricordi e dei rimpianti. Ognuno di noi deve scendere a patti col passato, ma per me non è così semplice. Una parte di me è morta e sepolta. Letteralmente.

Forse avrei dovuto oppormi, ma non ne ho avuto la forza. Non all’inizio. Poi è stato troppo tardi. Un’ennesima scelta di altri, mentre io sceglievo fra la vita e la morte. Loro hanno scelto, loro hanno sistemato tutto, fatto le cose in grande, come si conveniva. Le possibilità che ce la facessi erano così scarse, pensavano solo di anticipare i tempi.  Speravano. Anche questa volta li ho delusi.

Poi nessuno si è rimangiato la bugia che la mia vita è diventata. Tutto il mondo aveva visto. Tutto il mondo ha guardato dentro quella macchina e mi ha vista morire. Non si poteva tornare indietro. La verità non è mai complicata. Siamo noi a rendere difficili le cose semplici.

Ci sono voluti nove mesi per riprendermi dai due di coma. Se complotto c’è stato, era di certo dentro le flebo che mi hanno tenuta sedata senza togliermi alcun dolore. L’uomo che amavo è morto davvero in quel tunnel, insieme a quella parte di me che per anni è stata data in pasto alla morbosa curiosità della gente.

Oltre due miliardi di persone hanno assistito al mio funerale, questo pensiero dovrebbe confortarmi, invece mi toglie il respiro. Loro sapevano, rigidi e impalati come sempre. Anche lei che abbassa lo sguardo davanti alla mia bara vuota e si sistema le pieghe della gonna. Anche i ragazzi sapevano e questo per me è stato il male più grande. Loro dicono che non così, che quella enorme, dannata messinscena è stata una liberazione, perché loro e solo loro sapevano che ero viva e che stavo scegliendo fra la vita e la morte. Speravano. Con lo sguardo smarrito in quella folla sconfinata. Per la prima volta avevano una mamma solo per loro, non più la principessa di tutti.

E così, per loro e solo per loro non ho gridato ai quattro venti di essere viva, non ho sbugiardato chi ha mentito, non ho dato scacco matto alla regina. Abbiamo scelto insieme: Lady D. è morta è rimasta solo Yenne, come balbettava Harry da piccolo: Mum-my Da-Yen-ne.

L’Australia non è poi così lontana: hanno la Union Jack nella bandiera ed è stata pur sempre impero… Le operazioni al viso me le ha fatte il dottor Thompson, l’uomo che ho sposato sette anni fa. Sono rimasta nella vita dei miei figli, con discrezione, amandoli alla follia come ho potuto. Certo più del loro padre. Sono loro a venire da me, di nascosto, appena possono. Anche se non è sempre facile. Specie ora che William e Catherine hanno i piccoli, che sono la cosa più bella del mondo. Per loro sono la zia Yenne. Odio essere chiamata così dai bambini, è la cosa che mi pesa di più, anche se è una sciocchezza rispetto al resto. George lo dice benissimo col suo tono deciso e autoritario, mentre Charlotte balbetta Auntie Yen-ne. Irresistibile. Li adoro! Un giorno, quando potranno capire, gli racconterò tutto. Anche se non so se tutto questo si possa capire davvero

«Chi sono?».

Sono la signora Yenne Thompson, ho un naso nuovo, un nuovo taglio d’occhi, capelli e lenti scure. Quando incontro il mio sguardo in una vetrina o in uno specchio ancora mi stupisco, ho bisogno di un attimo per ritrovarmi.  Ho un aspetto familiare, che spero gli altri non indovinino, ma ciò che non si cerca non si trova.  Così Marylin è viva, Elvis c’è ed è facile persino incontrare Jim Morrison. Lady D. invece è morta in quella Mercedes.

Ora ho un uomo che amo e che mi ama davvero, un uomo che non pensa al mio passato. Faccio un lavoro che mi piace e sono libera di scegliere molte cose. Non tutte. Come tutti. Mi mancano i miei figli e i miei nipoti che abitano lontano. Dovrei fare la tinta: “Castano iridescente nr. 3”, ma non mi va di andare dal parrucchiere. Là ci sono quei giornalacci che mi atterriscono e non mi va di sentirmi dire «Ha sentito Yenne, che la Kate è di nuovo incinta?».

La verità è una cosa semplice.

© Anna Martinenghi, 2017

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