La casa di S. di Maddalena Filippi

©Foto di Maddalena Filippi

Quando nel quartiere, tempo prima, si era sparsa la voce che la bella villa solitaria e chiusa da tempo era stata acquistata da un personaggio importante subito si erano levate le prime proteste: è una zona così tranquilla, chissà ora che cosa succederà, proprio qui doveva venire, adesso sai che complicazione, la scorta sempre presente, i bambini saranno in pericolo, e se poi fanno un attentato?
Intanto squadre di operai lavoravano senza sosta, festivi compresi – vedi, te l’avevo detto che è un negriero, pure la sera e la domenica li fa lavorare! – trasformando poco per volta la casa e riportandola al suo antico splendore. Ma i mormorii non si fermavano: la curiosità quasi morbosa degli abitanti del borgo si mescolava all’invidia malcelata per tutto quello spiegamento di forze, ritenuto inutile ostentazione.
E mentre le voci sul giardino, sulla statua di marmo che sovrastava la fontana, sulla video sorveglianza a ogni angolo della recinzione di ferro massiccio continuavano a rincorrersi, finalmente S. si era trasferito lì. Con discrezione. Niente vernissage. Niente viavai di ospiti importanti. Niente guardie con i mitra spianati. Solo due auto che silenziosamente giravano su e giù per i viali tenendo la situazione sotto controllo. Le tapparelle, per privacy, erano abbassate anche quando lui era in casa, ma la luce in giardino diceva della sua presenza. E anche l’erba di fronte al suo cancello, suolo pubblico, era tagliata all’inglese da mani misteriose, le stesse che toglievano le cartacce e le foglie secche e che l’innaffiavano quando ce n’era bisogno.
In quel borgo così discreto e famigliare S. poteva permettersi per qualche ora di essere una persona come le altre: al mattino andava al bar, a comperare il giornale, a fare la spesa al mercato. Il suo desiderio di normalità e di riservatezza era stato compreso dalle persone del quartiere, che anzi avevano come stretto con lui un tacito accordo per farsi custodi di questi bisogni. Così la sua presenza si era trasformata in motivo di complice orgoglio e garanzia di maggiore sicurezza per tutti. E passare davanti a casa sua, sostare su quel pratino curato, ascoltare il mormorio della fontana, immaginare i fiori che la circondavano era diventato un piacevole diversivo, quasi un rito per chi passeggiava abitualmente da quelle parti.
S. è morto improvvisamente quest’estate.
Da allora la villa è chiusa. Il prato davanti al cancello è incolto come il resto delle aiuole del parco. La fontana non mormora più.
I segreti e l’intimità di S. sono custoditi dietro le persiane serrate.
Per mesi c’è stato un pellegrinaggio muto e costante: con malinconia e rimpianto la gente del posto è andata a salutarlo.
Qualcuno ha persino infilato una rosa bianca tra i pannelli neri della recinzione.
S. è diventato uno di loro a tutti gli effetti: in fin dei conti, la morte rende uguali.

©Maddalena Filippi, 2019

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