Intervista a Claudio Milano

Il mio vagabondare nel meraviglioso mondo della musica mi regala da sempre scenari mozzafiato, ma mette sempre più in crisi il mio rapporto con i media e il mercato in generale. Non riesco a comprendere come talenti puri vengano poco considerati o ignorati e per mediocri si usino parole tipo poeta e o genio. Non scrivo per professione e se lo faccio è solo perché il lavoro che mi è stato sottoposto mi ha regalato delle emozioni. La scrittura ha i suoi tempi che non sempre coincidono con i tempi dell’ascolto, perché mi piace andare oltre e ripercorre, fin dove e quando possibile, la carriera di un artista a ritroso. Ed è questa la ragione che mi ha spinto a presentare Claudio Milano non attraverso la recensione del suo ultimo album ManifestAzioni, che presto arriverà in redazione, ma attraverso un’intervista. Esiste infatti un’opera che merita uno spazio a sé sia perché presenta al meglio l’artista sia per l’immane lavoro di ricerca che sta a monte. Giusto dunque presentare al colto pubblico di Sdiario uno spettacolo multimediale in cui tutte le arti trovano il loro spazio. Un lavoro lungo cinque anni che Claudio Milano con I Sincopatici (Francesca Badalaini e Andrea Grumelli) ha dedicato alla Divina Commedia.

Un lavoro che merita un approfondimento e il giusto palcoscenico.

Ciao Claudio e Benvenuto su Sdiario. Il nostro pubblico ama le arti e in qualche modo il tuo
percorso artistico le accoglie tutte. Come ti definiresti in poche righe?

Vecchio.
L’ideale dell’uomo leonardesco sempre curioso e attento a tutte le manifestazioni possibili dell’ingegno, considerando la vita come un percorso mai pago è decaduto a favore della specializzazione prima e nell’elogio manifesto, spudorato, alla incapacità di ricoprire un ruolo.
Io ho sempre percepito come massima realizzazione di un creativo, le avanguardie come proposte nel ‘900, nell’esaltazione della sinestesia, oggi divenuta pure spettacolarizzazione e intrattenimento.
È  necessario accettare di farsi manipolare oggi per avere un ruolo e in questo io sono persona che non ha possibilità di farsi ascoltare.
Per farlo dovrei provocare e trovo anche questo ormai terribilmente noioso, nonché immediatamente metabolizzato dai Media, rigettato e dimenticato. Oggi affermare “se mi comporto in un certo modo ottengo un determinato risultato” non è sinonimo di intelligenza, ma di furbizia ed è il principio di rovina culturale che ha il massimo peso specifico nelle dittature psichiatrico/sanitarie e nel cameratismo delle forze dell’ordine che si è esteso ad ogni ambito delle nostre vite.
Io non posso tollerare tutto questo.

La ricchezza del tuo curriculum è semplicemente spiazzante, ma lo spettacolo in cui proponi il
tuo Inferno dantesco ha del titanico. Prima di entrare nel merito ti chiedo perché, secondo te, Dante
Alighieri è così affascinante e attuale.

Dante è attuale perché è un visionario e la visionarietà risponde all’esigenza odierna di stimoli continui.
È come se il poeta fiorentino offrisse un “like” ogni frazione di secondo a chi ha postato qualcosa su un social o una notizia tremenda da sbattere in prima pagina su un quotidiano online.
La Commedia è un’alternanza di stimoli altamente immaginifici, per tanti versi affini a quell’horror che appaga la frustrazione individuale andando ad esasperarne i contenuti in un urlo globale che tutti vuole morti e in modo inedito.
Con l’affare pandemico ogni utopia e le figuracce dell’OMS, ogni utopia possibile è definitivamente morta lasciando spazio ad una diatriba geo-politica e difatti fondata su ragioni economiche tra Occidente e Oriente (alleati inclusi, ovvero i popoli con un coltello in bocca perché sfruttati per millenni), che si è fatta guerra di religioni, culture, di territorio. L’opera dantesca è cruenta, ha del sadico (si veda la scena del Maometto decapitato e “rotto fin dove si trulla”, ovvero fin dove si scorreggia).
La riedizione olandese del 2021 della Commedia ha censurato questo quadro al quale io e I
Sincopatici
invece abbiamo voluto dare importanza particolare realizzando una versione estesa
pubblicata su vinile deluxe di sole 21 copie: https://www.youtube.com/watch?v=t78TSHfHYX0
Il poeta fiorentino è polemico fino all’inverosimile.
È  andato a definire una sorta di libro nero personale nell’Inferno che gli urlatori del piccolo schermo odierno (Sgarbi, Morgan), manco avrebbero osato immaginare nella pochezza che sono costretti ad esporre auto-castrandosi. La Commedia è cattolica ma lo è in modo popolare al punto da portare Papa Anastasio II tra gli eretici. Dante era un intellettuale che non ha mai rinunciato a dire la sua in ogni modo, trasformando visioni estremamente personali in universali. Un’universalità che in vita però gli è costata l’esilio. Eppure la Commedia gronda visioni estatiche ed è un abbecedario di empatia e compassione. Le
scene del Conte Ugolino e di Pier della Vigna, quelle di Paolo e Francesca, sono tra i momenti più
alti della poesia universale.
Oltremodo Dante era diretto ma estremamente ermetico. Ogni suo verso rimanda a decine di chiavi
di lettura, cosa che ha un corrispettivo forse solo nel metodo mitico di T.S. Eliot nella sua “Terra
Desolata”. L’ermetismo apre a un divenire nelle interpretazioni e questo creare mistero attorno all’arte è quel gettare luce sulla propria ombra junghiano che è contemporaneo come non mai.
L’arte, diceva Majakovskij non è specchio, ma martello e l’Alighieri non ha spostato il punto di
vista della creatività di mezzo metro, come hanno fatto gli artisti più capaci, ma di chilometri e
chilometri e questo lo qualifica come genio. Partendo da questo assunto, io mi sono ritrovato a lavorare con Francesca Badalini e Andrea Grumelli (a cui in corso d’opera si è aggiunto il M° Luca Casiraghi alle percussioni) che avevano in buona misura definito già gli ingombri sonici associati alle tantissime scene del celebre kolossal (il primo della storia del cinema) “L’Inferno” del 1911.
Francesca aveva generato un’ossatura assai solida e altamente evocativa, Andrea aveva introdotto una sua visione assai intima del fare musica associata a soundscapes e drones ambientali.
A me è toccato adattare il testo dantesco a linee vocali che sono andate ad auto-definirsi di prova in prova per mesi, ma con una costante apertura ad improvvisazione. In questo ho rinunciato al rispetto dell’endecasillabo come metro. Se già musicare un film muto introducendo il canto, è stato di per sé un azzardo (lo hanno fatto anche i Tangerine Dream musicando ufficialmente la pellicola nel precedente restauro) quello vero è stato introdurre del recitarcantando.
Il mio studio della “Lectura Dantis” di Carmelo Bene è cosa che per me risale ai primi anni 90, ma appresso a quello ho consolidato il dramma performativo di Diamanda Galas e Peter Hammill.
Dalla prima ho tratto gli elementi più violenti e da Grand Guignol, dal secondo la volontà di catarsi
attraverso l’esibizione in solitaria negli show dal vivo fino al momento del suo infarto, nella sua
opera “Usher” e nella sua lettura di Lovecraft con il Kronos Quartet. Ho poi prestato attenzione ai percorsi di Sopor Aeternus, dei Devil Doll, ai doppiatori italiani dei grandi kolossal americani.
Ho fatto ricorso ai drammi esistenziali di Danio Manfredini nei suoi “Studi per una Crocifissione”,
fatti di silenzi che urlano contro tutto e tutti. Ho implementato la partitura di Francesca e Andrea con mie composizioni. Il momento di rottura più evidente è stato quando era evidente… io dal vivo non riuscivo a star fermo.
La materia sonora del canto presupponeva un’arte scenica che andava ben oltre un’impostazione
lirica tradizionale.
Ho creato maschere, costumi, oggetti di scena, ho dato vita a piccole performance.
Queste ultime hanno avuto una funzione ovviamente destabilizzante, perché se l’obiettivo del pubblico era quello di guardarsi in santa pace il film con una colonna sonora nuova, ha incontrato solo scontento.
La mia scena dell’impiccagione a mezzo di un lazo legato ad un palloncino a forma di globo, accoltellato e mostrato poi come trofeo di guerra personale; quella del mio seppellimento; della danza sufi; i miei teli appallottolati, indossati con ghirlande a richiamare il canto di Beatrice, sono stati tutti momenti che hanno fatto di un cine-concerto, uno spettacolo sinestetico totale. Uno spettacolo assai faticoso per me da portare in scena per quanto mi è richiesto vocalmente ma anche fisicamente tenendo conto che ogni azione deve mantenere intensità assoluta ma anche tempi cronometrici.
Col tempo sono andato a definire degli obbligati nel canto che spaziano su sei-sette ottave e se
riesco ad emettere suoni di sibilo mi avvicino a nove.
Alla fine però sono a pezzi.
Perché un prezzo così elevato? Perché in questo modo ho creato quella confusione di stimoli del mondo odierno, con sovrapposizione di piani di realtà e percezione, tali da portare a momenti di sorpresa ma anche di interiorizzazione dolorosa di un proprio limite nel non poter controllare tutto, o addirittura nel non poter controllare alcunché. Questo è un lavoro che associa apollineo a dionisiaco e il Caos è da sempre generatore di creazione. Il punto è: chi potrà accogliere questa creazione? I social ci mostrano solo annunci relativi alla nostra comfort zone, ognuno legge quotidiani in cui si riconosce, frequenta persone che acconsentono alle sue idee, ma questa che noi chiamiamo realtà è la più ridicola delle finzioni. Purtroppo solo alcuni spazi hanno permesso una messa in scena accettabile del tutto, negli altri ho dovuto cantare e basta. In questi casi il mio calarmi nei panni di un Dante contemporaneo è in buona misura fallito.

Nell’introdurre questa intervista, ho scritto che tutte le arti si sublimano nell’Inferno a cui hai lavorato assieme ai Sincopatici, ma non sono entrato volutamente nei dettagli. Raccontaci come nasce l’idea e quando avete capito che più arti potevano sublimarsi in un’unica grande opera.
Il tutto è andato sviluppandosi di prova in prova, replica in replica, per quattro anni consecutivi (il lavoro di Francesca sul lavoro era iniziato prima) e non senza ovvie discussioni. Il rischio di creare un effetto musical appresso all’opera era da evitare, bisognava capire laddove per qualcuno nella formazione iniziava il concetto di buon gusto e cattivo e gusto e dove finiva per altri, che valore il “cattivo gusto” o “il buon gusto” possono avere nella creazione e nella definizione di un’estetica.
Bisognava prestare attenzione ad un adeguato bilanciamento degli interventi, a non far richieste a Festival e teatri che a malapena disponevano di un impianto audio e che alla fine, comunque sapevamo avrebbero reagito con un: “lavoro carino ma nulla di nuovo”.
I Sincopatici sono assai consapevoli di come la nostra generazione non lascerà alcun segno nella
storia della musica e delle arti.
Sono viventi ancora i grandi miti delle arti popolari (le webzine dedicano più spazio a Dylan, i Rolling Stones, Peter Gabriel, Steve Wilson, Roger Waters che a tutti gli altri musicisti del mondo messi assieme, Maneskin a parte) e la musica classico contemporanea, così come il jazz, sono sempre più piccole lobbies legate a dinamiche veramente volgari. I miti degli anni 90 sono quasi tutti morti schiacciati dal peso della responsabilità di dover creare qualcosa che non fosse stato detto nei decenni precedenti.
Oggi l’obiettivo comune è il “fly down”, un volar basso e senza aspettative per non assumersi il peso della frustrazione da una fallimento che potrebbe derivare anche solo da un piccolo slancio.
Ecco perché i musicisti oggi dicono sempre “mah… è accaduto”, come se in realtà non ci fosse stato alcun rapporto di causa-effetto nella definizione del proprio successo.
Eppure sanno benissimo che se passano più tempo a mostrare genitali sui social che a creare, ad inventare, è perché quello porta a un risultato. Artistico? Io sinceramente del fallo di Damiano o del fondoschiena perfetto di Elodie che appare nei manifesti delle metro come una scimmia/giullare, non so che farmene. Se parlo così i produttori poi mi abbandonano e mi danno dell’ingestibile, mi creano persino una cattiva nomea attorno. Ecco, Dante non crede nel rapporto causa-effetto, lo associa solo al Giudizio Divino, così come l’essere contemporaneo che si sente escluso da giochi che ha attorno e che sono troppo più grandi di lui.
A me interessa Dio, non gli uomini che lo rinnegano.
Creare in quanto forma divina, è rischioso e oggi c’è spazio solo per distruggere.
È ovvio che un progetto come “Decimo Cerchio” nasce già morto a prescindere in base ad aspettative, ma ha una caratteristica… Risulta fruibile.
Indipendentemente dal grado di formazione culturale di chi vi ha assistito (al limite qualche regista o musicista ha riportato la sua necessità di non vedersi sopraffatto da troppi stimoli in contemporanea, cosa era proprio il mio obiettivo), tutti hanno speso parole di grandissimo elogio fino a standing ovation che personalmente ho vissuto solo in qualche data all’estero come cantante lirico. Sarà per i temi, sarà per il fatto che quell’universo terminale che è “L’Inferno” somiglia maledettamente a questi tempi che tutti vogliamo vedere come gli ultimi, lo spettacolo ha un senso e lo ha anche per via del suo osare in modo spudorato. Se qualcuno avesse il coraggio di investirci potrebbe ricavarne molto più di quanto possa
immaginare, anche in termini economici.

Un lavoro di ricerca e sperimentazione durato cinque lunghi anni. C’è stato un momento in cui
hai avuto dei dubbi?

Certamente! Bisogna sempre mettersi in discussione ed è tanto più necessario quando per trovare mezza data bisogna perderci appresso le notti per guadagnarci 100 euro e avere tra dieci e cento spettatori tra il pubblico ma non oltre.
Non solo, è importante sempre in fase creativa capire fin dove è possibile essere creativi e laddove invece ci si può esprimere solo come professionisti. A me il professionismo non interessa più.
Credo che il vivere questo viaggio nell’umanità ridotta a una sofferenza perenne mi abbia svuotato. Ho in programma la pubblicazione di quattro ultimi lavori (“L’Inferno” incluso) entro il 29 Gennaio 2026 e poi abbandono la musica.

Quale personaggio della Commedia ti affascina di più e perché?
Dante, perché è chi in qualche modo devo cantare ogni volta nel suo mostrarsi a chi lo legge così volubile, dall’umore indignato e perennemente deflesso, ma non privo di un’ultima speranza, una
sorta di cortocircuito che si può chiamare Dio. Se io non credessi in Dio e nell’arte mi sarei già ucciso da tempo.

F.M. Al momento quest’opera vive solo su Youtube, c’è la possibilità di vederla pubblicata?

L’obiettivo è di pubblicare un cofanetto con un CD registrato dal vivo a Varese nel 2021 e un DVD, registrato a Piacenza nel 2023. Io e I Sincopatici non abbiamo al momento ricevuto alcuna offerta che comporti un booking. Ci sono etichette che ci darebbero volentieri un numero di catalogo e un piccolo appoggio nella rassegna stampa, ma null’altro. Non basta.
Questo tipo di supporto aiuta quando le label godono di buona fama ma comunque non facilita il veicolare un progetto simile, al limite a fare un concertino folk per banjo e voce. Si troverà il modo per fare uscire questo cofanetto entro il 2024, in qualche modo. Non escludiamo a questo punto neanche l’autoproduzione. So che ci sarà una nuova data a Stradella, a Maggio 2024.
Sono sincero, per i miei ultimi due CD e l’unico vinile che ho pubblicato sono andato in perdita di
almeno il 60%, io vivo di stenti.

Prima di lasciarci vorrei condividere con te una mia riflessione: le Arti e gli Artisti in Italia sono tanti, ma sono mortificati da un sistema becero che innalza la mediocrità ad arte. Che ne pensi?
Arte? Quale arte? Io vedo solo mestieranti. Tutto risponde a cliches. Ci sono rare eccezioni, ma maturate in un ambiente da dopolavoro ferroviario, anche e soprattutto appresso a campi come “avanguardia”, “sperimentale”. Quando la finiranno adesso i critici musicali di parlare solo di post-rock e di drones?
Siamo solo in attesa che questa eutanasia del mondo Occidentale abbia fine.
Chi ricomincerà dopo, sceglierà su che base farlo, ma nonostante ogni mio sforzo, anche superiore alle mie oggettive possibilità fisiche e d’ingegno, di me non resterà memoria.
Auguro un futuro migliore a Francesca e ad Andrea, a Luca Casiraghi ad Alessandro Bazzoli (che ha sostituito alle percussioni Luca nella sola data di Piacenza figurando di conseguenza nel video).
Loro hanno affetti importanti.
Io davvero non so che futuro potrei avere…

Grazie Claudio per la conversazione. Ti lascio uno spazio bianco da riempire come vuoi.
Rischiate, tanto abbiamo già perso in partenza, non abbiamo nulla da perdere.
Inventatevi non una, ma dieci, cento, mille.
Non fate i musicisti se non in ambito terapeutico.
Fate quanto potete per aiutare gli altri.
Fate della meditazione parte principe delle vostre vite.

©Fortunato Mannino

Claudio Milano https://www.facebook.com/claudio.milano.75

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