PRIMA BICICLETTA
Il sole di fine agosto regala ombre lunghe. La luce è lattiginosa, cittadina, asfaltata.
Negli angoli ricavati da marciapiedi rubati al parcheggio di automobili che ancora non hanno ripreso i loro spazi, una bicicletta da bambino è lì, ordinata, parallela alla strada, dritta sul suo cavalletto. Modello senza pedali, di quelle che le grandi case di giocattoli hanno chiamato Prima Bicicletta. Bambino piccolo, quindi, colui che l’ha lasciata. Mamma fiduciosa, colei che l’ha parcheggiata, né un lucchetto, né una catena.
Il caschetto, in tinta col telaio, è appeso al manubrio, attende il ritorno del suo padrone.
Tutto è lucente.
Un cancello si apre sulla voce acuta e felice di un maschietto che forse non arriva a tre anni.
La mamma sorride e gli lascia la mano proprio quando lui l’allunga verso il suo gioiello lucente, blu.
Con maestria, la donna gli infila il casco mentre lui saltella, saltella da ogni lato, muove le braccia, gorgoglia in risate senza ragione apparente.
Finalmente è tutto pronto e lui può sedersi sul suo sellino, muovendo le gambe per spingersi giù dal marciapiede e andare verso il parco, seguito da grida affettuose: <<Attento! Non ti allontanare!>>
“Lo guardo e non ci credo. Lo guardo correre se quelle rotelle e mi domando quale sia mai la mia fortuna, perché un disegno divino (che certo può essere solo divino) mi abbia voluto regalare tanta gioia. Lui corre via, ma si ferma al suono della mia voce, si gira, un po’ storto, cercando di trattenere la bicicletta. Sorride, sorride sempre, e mi guarda, mi incoraggia, come se io per lui fossi troppo lenta, ma poiché sono la sua mamma, sopporta, felice.
È arrivato e non ci speravamo più. È arrivato e io sono diventata un’altra persona. So che devo vivere per lui, voglio fare tutto quello che devo, per lui. Non mi posso ammalare, non posso pensare a niente che non sia costruire la sua strada. Sono talmente felice che non ho più paura di niente. Se la vita me l’ha regalato, vuol dire che tutto andrà bene. Lo accompagneremo, lo faremo diventare grande, costruiremo questo adulto che dovrà gioire del mondo e poi ci faremo da parte, spettatori dei suoi progetti e dei suoi successi. Per gli insuccessi, saremo l’angolo di mondo dove rifugiarsi.
Ora, in questo parco cittadino che ci vede unici protagonisti della fine dell’estate, ci raccontiamo le nostre storie di draghi e di lumache, di formiche e di leoni. Ora, le nostre fantasie ci accompagnano fino a sera, quando papà tornerà dal lavoro e sostituirà le mie storie con le sue.
Arrivo, piccolo mio, arrivo.”
© Antonella Zanca, 2017
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