Il farmacista di Ampurdan

Sono storie di ordinaria infelicità, quelle raccontate da Peter Cameron e raccolte nel suo ultimo libro, “Cosa fa la gente tutto il giorno?” (Adelphi, pp. 188, euro 18), storie di ordinaria insoddisfazione. Il libro – che esce nella traduzione di Giuseppina Oneto – raccoglie dodici racconti apparsi per la prima volta in
rivista fra il 1986 e il 2014.
Ma il lettore, della differenza d’età di questi racconti, non se ne accorgerà. Talmente forte e riconoscibile è la cifra stilistica che contraddistingue i personaggi creati da Cameron, personaggi che conservano tutti in tasca un biglietto di sola andata. Ma non sanno chi gli dirà di scendere quando saranno arrivati, personaggi che si fanno largo a stento fra i cespugli contorti della vita, sostanzialmente personaggi che non hanno stima per se stessi.
Sono tutti indistintamente riconoscibilissimi – basta uscire per strada e farsi due passi – e tutti molto somiglianti a ognuno di noi: si tratta, in fondo, di protagonisti che entrano ed escono anche
dalla nostra, di vita. Il tutto senza togliere nulla alla passione che richiede pagina dopo pagina la lettura di queste short stories, anzi – è qui sta il segreto di Cameron – l’intreccio del quotidiano
lottare del singolo individuo per riuscire a cavalcare l’onda della realtà diventa particolarmente avvincente e stimolante, come se stessimo leggendo un thriller, ma il thriller siamo noi.
C’è un piccolo quadro, pressoché sconosciuto, che Salvador Dalì dipinse nel 1936 e che s’intitola “Il farmacista di Ampurdàn non sta cercando assolutamente niente”. C’è il vecchio farmacista in primo piano intento a prendere nota di tutto, mentre sullo sfondo il paese di Ampurdàn sembra scomparire nella caligine. Tutto sommato assomiglia molto da vicino ai personaggi di Cameron, intenti a non cercare assolutamente niente, o forse alla ricerca – che sanno già infruttuosa – del motivo per cui continuare a vivere.
Ma dal momento che è molto spiacevole non avere nessun impegno, soprattutto con se stessi, chiudono l’anima nella custodia ed escono. Così, dal momento che è molto piacevole far finta di avere un sacco di impegni, lasciano che la loro anima viva di espedienti, in modo che possano benissimo fare a meno della
dignità.
I protagonisti dei racconti di Cameron si scoprono costantemente traditi da se stessi e dagli altri, mentre cercano di realizzare sogni che appartengono a qualcun altro. Fanno sogni non loro. E rendersene conto, così, all’improvviso, li mette sulle tracce di un piccolo, anche infinitesimale, sogno privato, che appartiene
soltanto a loro. E a nessun altro.
Come nel racconto “Prova a rilassarti” – che sembra un’evoluzione della “Carriola” di Pirandello – in cui il
protagonista non teme che la moglie pensi che lui la tradisca, pur di non farle sapere che tiene una cagnetta nascosta nel ripostiglio:
“Lei è allergica ai cani e non permetterebbe di tenerne uno in casa. Allora io ho un cane segreto”.
E così, nel banale quotidiano raccontato da Cameron, si snoda la lunga giornata verso la morte dei suoi personaggi che si guardano nello specchio con diffidenza e si chiedono: sono io o non sono io?

©Davide Marchetta

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