Il disordine del tempo nello spazio del Gabbiano

Addentriamoci nei meandri de Il gabbiano iniziando dalla pagina dei personaggi, una lista con laconiche indicazioni in merito a parentele e professioni: Irina Nikolaevna Arkadina, vedova Treplev, attrice; Konstantin Gavrilovic Treplev, suo giovane figlio; Petr Nikolaevic Sorin, fratello di Irina Nikolaevna; Nina Michajlovna Zarechnaja, ragazza giovane, figlia di un ricco possidente; Il’ja Afanas’evic Shamraev, tenente in congedo, amministratore di casa Sorin; Polina Andreevna, sua moglie; Masha, loro figlia; Boris Alkeseevic Trigorin, romanziere; Evgenij Sergeevic Dorn, medico; Semen Semenovic Medvedenko, maestro; Jakov operaio; il cuoco; la cameriera.

Notate che soltanto per i due personaggi principali della pièce è data una generica indicazione dell’età: Treplev è “un giovane”, la Zarechnaja “una giovane”. Per gli altri l’età è determinata per auto-caratterizzazione nei loro discorsi. Si possono individuare tre gruppi di personaggi: coloro che vivono il “prima”, cioè che vivono nell’aspettativa del futuro e tra questi vi sono Konstantin Gavrilovic Treplev, suo zio Petr Nikolaevic Sorin e Nina Michajlovna Zarechnaja; coloro che vivono il “dopo”, cioè proiettati a ritroso nel passato, come la madre di Treplev Irina Nikolaevna Arkadina, il suo amante Boris Alekseevic Trigorin e Il’ja Afanas’evic Shamraev, l’amministratore della tenuta; Polina Andreevna, la moglie dell’amministratore, sua figlia Masa e il suo spasimante e poi marito, il maestro Semen Semenovic Medvedenko, vivono invece il “durante”, ovvero sono prigionieri di un continuo presente. Infine, il dottor Evgenij Sergeevic Dorn sembra vivere al di fuori dell’ordine del tempo.

        La storia de Il Gabbiano inizia in un esterno, all’apertura del sipario, lo spettatore vede: “una parte del parco della tenuta di Sorin. Il largo viale, che in linea retta dalla platea conduce in fondo al parco verso il lago, è sbarrato da un teatrino imbastito in fretta per uno spettacolo di famiglia, sicché il lago non è visibile. A sinistra e a destra del teatrino cespugli. Alcune sedie, un tavolino. Il sole è appena tramontato.”

        Cechov ci propone quello che in pittura si chiama un quadro prospettico con punto di fuga centrale. Credo sia interessante soffermarci sul significato di “prospettiva”. La parola “prospettiva” indica un riferimento di ordine spaziale, così come “aspettativa” indica un riferimento di ordine temporale. “Prospettiva” viene da prospicere (=guardare innanzi): termine composto da pro (davanti) e specere (guardare); la prospettiva, nel suo significato letterale “è una rappresentazione piana di una figura spaziale, che riproduce la visione che della figura ha un osservatore in una certa posizione.” Per questa via la parola si troverebbe associata all’idea di proiezione e assimilata alla famiglia di tutti quei termini che – al pari di “progetto” e “prospetto” – contengono l’immagine del gettare innanzi o del guardare innanzi. Sennonché, il termine latino – risalente al testo di Boezio sull’interpretazione degli Analitici posteriori di Aristotile – suona perspectiva. Di qui il rimando al termine per-spicere, che Erwin Panowsky – nel suo celebre saggio Die Perspektive als “simbolishe Form”, propone di assumere non tanto nel senso di “vedere attraverso”, quanto piuttosto nel senso di “vedere distintamente”.

Secondo le parole di Leon Battista Alberti, si avrà intuizione propriamente prospettica della realtà, ove l’intero “quadrangulo” diviene “una fenestra aperta per donde io miri quello che quivi sarà dipinto.” Notate l’uso da parte di Leon Battista Alberti del verbo dipingere con tempo futuro. La “fenestra” della prospettiva si affaccia non su ciò che è, ma su ciò che sarà. Quindi la scena “disegnata” da Cechov è un “luogo” attraverso il quale si vedrà distintamente, una “fenestra” sull’immagine della verità. Nel quadro prospettico del primo atto de Il gabbiano vi è un punto di fuga che conduce, come in un imbuto, al lago, simbolo topografico che governa l’intera commedia. Il lago è dunque un luogo nascosto alla vista dello spettatore. Il punto di fuga è invisibile. La prospettiva del primo atto rimanda ad un qualcosa che c’è, ma che ancora non si vede, perché un altro elemento simbolico, il teatro, ne cela la vista. Quindi il teatro – in senso materiale e simbolico, cela la realtà, pronto a disvelarla.

Nel quadro “dipinto” da Cechov all’inizio de Il Gabbiano vi è la coniugazione dell’aspettativa di qualcosa che accadrà e della prospettiva in cui questo qualcosa potrà essere osservato. Se, infatti, nell’accezione più propria e letterale il termine “prospettiva” include in sé un riferimento a concetti spaziali come lontananza, profondità, gradazione, sfondo, oppure ottica, visuale, angolatura, luce, nel suo uso pragmatico corrente esso contiene un non meno caratteristico rimando metaforico a nozioni temporali come previsione, o possibilità, che lo rende strettamente affine al senso di “aspettativa”. Per converso, il termine “aspettativa” – ad onta del significato squisitamente temporale – ha in comune con “prospettiva” un inequivocabile rimando etimologico allo “sguardo”, in quanto derivato diretto, con semplice cambio di prefisso, da ex-spectare. L’aspettativa, in altri termini, non è di per sé un evento, ma l’anticipazione di un evento. In tal senso essa costituisce un modello, una pre-visualizzazione, un progetto.

Il “teatrino imbastito in fretta per uno spettacolo di famiglia” sarà il luogo delle aspettative, dell’anticipazione degli eventi, della pre-visualizzazione del futuro, non a caso la commedia scritta da Treplev che vi sarà rappresenta e ambienta nel futuro, “tra duecentomila anni”. È una pre-visualizzazione di ciò che sarà, ma è anche un progetto di vita che Kostja condivide con Nina, la sua fidanzata, interprete della commedia, giacché i due giovani “sono innamorati, e lo loro anime, oggi, si fonderanno nell’ansia di creare un’unica immagine di arte”.

Con l’invenzione della prospettiva si inaugura la modernità. Lo spazio prospettico è il nuovo orizzonte del tempo: il moderno inaugura la dimensione di uno spazio prospettico che rompe con lo spazio piano, qualitativamente differenziato, che caratterizza la cultura classica. La prospettiva è continuum infinito, omogeneo, matematico, che riceve rappresentazione grazie alla convergenza in un punto. Nello spazio si insedia il tempo. Il tempo diviene immagine dello spazio e lo spazio è l’orizzonte da cui nascono le immagini del tempo. Anche le sedie vuote dinanzi al teatrino rappresentano quell’universo di aspettative evocato dalla prospettiva spaziale. Le sedie vuote sono un simbolo temporale che rappresenta un evento futuro, una assenza che si farà presenza, indicano un “non ancora”, ci suggeriscono che qualcuno arriverà e si siederà. Nello spazio infinito del punto di fuga nascosto dal “teatrino”, andrà in scena la fuga in avanti di Treplev, il suo viaggio simbolico nel non-ancora, in quello che accade dopo, nel regno del “più in là”. Del resto, l’immaginabilità del tempo si fonda su una sostanziale aporia: l’aporia dell’immagine e della rappresentazione: ogni qualvolta proviamo a percepire il tempo “in presa diretta”, ci rendiamo conto che non possiamo esperire alcun evento senza collocarlo all’interno di una scena, di una immaginazione rappresentata, di un teatro di psyche. Ed è proprio in questo teatro di psyche che va in scena la commedia scritta da Kostja, il quale sostiene che “bisogna rappresentare la vita non com’è e non come deve essere, ma come ci appare nei sogni”. Il sogno è dunque spazio simbolico originario, presupposto alla stessa misurazione del tempo.

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