Gli involuti [1] di Anna Martinenghi

medaglia

LA MEDAGLIA

Sopra: ritagli di cielo fra i rami. Sotto: la terra umida del bosco. Il silenzio rimbomba del mio respiro e del mio cuore. Vorrei far tacere il corpo, mentre striscio come una lumaca fra le felci. Le foglie mi tagliano la faccia, il fucile è pesante, sudore freddo mi cola lungo la schiena. Loro non sono lontani. Quanti saranno? Quante altre lumache, con bandiere diverse dalla mia, guadagnano metri, trattenendo il respiro?

Diventare disumani è il sogno: macchine che premono il grilletto senza pensare, esseri a cuore spento, pronti a svuotare caricatori. Invece siamo corpi nel fango, ci annusiamo il culo e  il vento. Chi colpisce sarà l’eroe di una parte e un bastardo per qualcun altro. Chi cadrà sarà un eroe per i suoi, uno in meno per tutti gli altri. Voglio essere io a colpire, a sentire le gocce che colano.

Voglio vincere il gioco di Caino. Se non voglio fare la fine di quel pirla di suo fratello, però, devo smettere di scervellarmi. Pensare è roba da donnette, non da soldati. Devo pisciare. Le lumache cagano e pisciano strisciando, io sono ore che la tengo. Basterà un attimo, ma il fucile non lo mollo. Certo che è difficile sgrullarselo con la sinistra.

Cos’è stato? Mi riaccuccio, il cazzo ancora di fuori, la mano sulla patta. Ecco il sospiro che anticipa il colpo. È troppo tardi. Centrato in mezzo agli occhi. Sono morto.

Di nuovo.

Chi la toglie ora la vernice dalla maschera? Chi lo spiega a quella rompicoglioni di mia madre che la tuta da paintball non va lavata? Ogni macchia è una medaglia, ma lei non capisce. Sono morto venticinque volte, ma ho più di sessanta battaglie vinte. E lei che fa? Imperterrita a lavar medaglie, borbottando di non bestemmiare in chiesa, che c’è gente che la pelle l’ha lasciata in guerre vere. Eh, che palle! Se la vecchia torna a menarmela, dicendo che sono bambino di trent’anni con la pappa pronta e la libertà di una guerra bugiarda, le tiro un colpo in mezzo alle chiappe.

© Anna Martinenghi, 2015

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