Fantasmi [10] di Uduvicio Atanagi

© illustrazione di R. Rutigliano

ALCUNI UOMINI SONO NATI PER FARE DEL MALE

Alcuni uomini sono nati per fare del male. Io sono uno di quelli. Quello che faccio lo faccio perché ne ho bisogno, non è questione di esser buoni o cattivi, è l’espressione di una tendenza, pensa a Crono mentre si nutre, pensa agli stupri, ai massacri dei miti, è dentro di noi, è una pulsione naturale. Come la luce del sole, come le palle e lo stomaco.
Se mi prendessero mi brucerebbero vivo, mi spellerebbero, mi caverebbero gli occhi. Anche te lo faresti, vorresti vedermi appeso da qualche parte, vorresti che subissi quello che ho fatto e blablablabla quello che dite voi, quello che dicono gli altri.
Lo sento lo sai? Lo dico anche io quando mi nascondo in mezzo alla folla, lo dico anche ai genitori, quando li avvicino, quando diventiamo amici.
Quelli come me sono il male assoluto, tutta quella brava gente, dietro alle televisioni, chiusa nelle sue case a guardare l’orrore… se potessero si spingerebbero l’un l’altro per raggiungermi, mi strapperebbero via la lingua, mi colpirebbero anche mentre chiedo pietà, mi azzannerebbero la gola fino a staccarmela.
Quelli come me vivono nel mimetismo, siamo tra di voi ma siamo diversi. Siamo in pochi, tra di noi ci riconosciamo come fanno certe bestie, certe creature che vivono al buio. Tra di noi non parliamo perché il silenzio è la nostra prima tecnica di sopravvivenza, e anche noi, come te, come voi, vogliamo vivere.
Quello che però non capisci, quello che nessuno capirà mai è che ciò che faccio ai loro bambini, i video che mando ai genitori, i corpicini che delle volte ritrovano agli angoli di una strada, oppure nei boschi, tutto questo è comunque qualcosa, qualcosa a cui si possono attaccare, una stigmate che gli può nobilitare il cuore, diventano totalità immaginandosi i loro figli che piangono, immaginando la paura che hanno quando spalanco la porta e comincio a tagliare. Loro con questo prendono forma, essenza. Quello che non capiscono, quello che non capite e non capirete mai è cosa significa essere me, quanto immensa, gonfia, ipertrofica sia la mia solitudine in cui anche adesso affondo, nella sua voragine nera, nella pancia tronfia che piano piano mi succhia via simile a una lingua tremenda, come saliva colata dalla bocca di un morto.

© Uduvicio Atanagi, 2018

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