Immagine: Bagar

Ettore guardò scorrere l’acqua sotto di sé. Era limpida. L’ultima volta che aveva visto il Naviglio Grande limpido così erano forse gli anni Cinquanta e lui era un ragazzino e ci faceva il bagno con gli amici. 

Quasi tutti avevano visto il mare tranne lui e quando lo avevo visto per la prima volta perché sua madre si era imposta a suo padre e lo aveva mandato in colonia a Rimini pensando di fargli il più bel regalo del mondo, a lui, cresciuto tra povertà, lavoro e tanti”no”, non era riuscito a bagnarsi nemmeno i piedi. Impietrito di fronte a quella immensa massa d’acqua, Ettore aveva osservato i suoi compagni nuotare e spruzzarsi e tuffarsi e immergersi ridendo come pazzi. Giocando come i bambini che erano. Lui aveva avuto più paura del mare che dei bombardamenti. Non gli importava che lo prendessero in giro. Le tre settimane in colonia erano state il periodo più orrendo della sua vita e quando era tornato a casa aveva mentito a sua madre, dicendole che era stato bellissimo proprio come le aveva assicurato lei che il mare non lo aveva visto mai se non alla televisione dei Barbieri, i vicini di casa che li invitavano qualche volta per vedere il Lascia o raddoppia o qualche film.

Sua madre gongolava felice lanciando occhiate in tralice a suo marito che scuoteva la testa come a dire “Che stüpidad. Quanti danee tra via”. I danee,. Per suo padre contavano solo i soldi che non erano mai abbastanza.

Poi l’acqua del Naviglio si era intorbidata fino a diventare putrida come tutto il resto della città e il bagno era vietato farlo. E nemmeno ti veniva la voglia guardandolo scorrere marrone e sporco con certe pantegane dentro grandi come cani piccoli; lavatrici incagliate nel fondo; sacchetti di plastica e lattine gettate sulle sponde… 

A quel punto era tornato al mare e ci aveva portato anche sua madre pure se in ci vedeva quasi più. E non gli aveva fatto paura, anzi, lo aveva come chiamato a sé e lui si era spogliato in fretta lasciando sua madre sulla sdraio a mormorare “Me l’é grand…” e si era buttato in acqua facendosi abbracciare dalle onde piccole e fredde.

Ettore seguì un rametto che si lasciava trasportare dalla corrente. Gli sembrava che esistessero solo loro tre al mondo: lui, il rametto e il Naviglio.

“Signore…” Una voce ovattata lo stava chiamando. Per un attimo senti il cuore fermarsi. Il rametto gli stava parlando. Voltò la testa e incrociò due occhi che spiccavano sopra una mascherina azzurra.

“Signore, lei non può stare qui. Vada a casa e ci resti. Faccio finta di non averla vista perché non c’è nessuno in giro ma non esca più senza mascherina e autocertificazione.” Ettore scosse la testa, vergognandosi come un bambino colto a rubare. Non riuscì nemmeo a dire al carabiniere che lui lo aveva il permesso per uscire e andare in farmacia, e anche la mascherina aveva. In tasca perché gli faceva mancare il fiato.

“Vada a casa” ripeté l’altro ed Ettore annui. Prima di allontanarsi gettò un’occhiata nell’acqua limpida. Il rametto era sparito. S’incamminò nel silenzio sentendo gli occhi del carabiniere sulla schiena, come lo stessero spingendo via.

©Barbara Garlaschelli
©Opera Bagar

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