L’INCANTESIMO DI UN LAGO IGNORATO
Ti rendi conto che manchi da tempo perché inizi a vedere il lago. Lecco ha una strana malia, un incantesimo bizzarro: si spalma e scintilla sulla riva di un lago che ne specchia i contorni eppure si accorge solo dei monti. E, anche se nasci con gli occhi un po’ più aperti, è difficile sottrarsi a quel beato ignorare: sei nella città di Lucia e diecimila volte all’anno qualcuno scherzando si lancia nel recitare “Quel ramo del lago di Como”, ma non c’è verso che per te l’acqua assuma una consistenza tale da fissarsi nella coscienza. E’ lì, ma è come se non ci fosse.
Esistono le montagne e l’arrampicare, le passeggiate lungo i sentieri che ogni tanto vengono giù tra polvere e sassi, esiste la meravigliosa abitudine di marinare (si diceva “bigiare” quando ero al Classico Manzoni, oggi non so) infrattando gli sci nella macchina di qualche compagna di classe per raggiungere Bobbio o i Piani d’Erna, ma neanche ti accorgi che potresti soffermarti un minuto di più a osservare il lago. Lecco ha gli occhi ai monti, solo a quelli, e non si sa perché.
È solo quando vai via che ne apprezzi piano la memoria: lo scopri nelle circonvoluzioni meno usate del cervello, soffia nei pensieri all’improvviso quando, a Milano o New York o Brussel, sorridi stolida ripensando alla volta che con due amiche sei riuscita a portare fuori un banco dal liceo senza che ti fermassero e l’hai piazzato sul lungolago per dimostrare chissà cosa. Oppure ti rendi conto di avere visto il lago quando mille anni prima hai partecipato a un concorso ritagliato dalla Provincia e, per gioco, hai inventato “L’Isolago” e hai ficcato il ritaglio in una busta per poi scoprire che il nome è piaciuto e un centro commerciale nel cuore della città si chiamerà proprio così. Il lago è il compagno silenzioso che finge di non offendersi se lo ignori, ma non ti si stacca dalla pelle.
Sono diversi i cugini comaschi: per loro il lago esiste, ne fanno una risorsa e costruiscono muri poi li abbattono, valorizzano le passeggiate poi le nascondono e le denudano di nuovo. Ma sanno che è lì, si danno appuntamento da qualche parte e tirano in ballo il lago per essere più sicuri di avere capito bene. Ai comaschi il loro lago piace, si vede che ne sono fieri. I lecchesi camminano e sembrano volarci sopra, dubito che qualcuno si sia mai accorto di essersi bagnato se per errore ci è caduto dentro.
Per la verità a Lecco sono nata ma non ho abitato lì. Ho sempre abitato a Calco, al crocevia esatto delle strade principali che collegano Como, Milano, Lecco e Bergamo: la casa della mia famiglia è nascosta da alberi su una piccola collina sopra il curvone maledetto dello Sport. Nelle notti della mia infanzia e dell’adolescenza avevo imparato a riconoscere lo stridore di pneumatici delle automobili che non sapevano come affrontare la curva, e l’ululato di disperazione dei freni e, troppe volte, lo schianto pochi istanti dopo. Ci pensavo un paio di giorni fa: nell’immancabile gruppo Facebook “Sei di Calco se…” qualcuno ha pubblicato l’ennesima fotografia dell’ennesimo incidente contro il muraglione della curva di Sport e i ricordi fioccavano fuori per me e per chi commentava. Sono morti Alberto e Davide lì, e chi ha vissuto a Calco sa chi siano Alberto e Davide e che avevano sedici e diciotto anni e ha impressa a fuoco quella notte straziante e decine di altre notti in un punto della Brianza dove non si capisce come mai nessuno si decide a intervenire. Il curvone di Sport è un luogo di energia torbida noto e misconosciuto insieme, mentre il lago per i lecchesi è un luogo di energia vivissima che nessuno prende in considerazione.
L’incantesimo del lago a Lecco ha un contagio rapido ed efficace. Quando racconti che sei nata a Lecco (all’ospedale di Lecco, palazzine vecchie) susciti curiosità per il Resegone, la Grigna, per la Valsassina e i suoi biscotti e il formaggio, oppure ti chiedono se hai conosciuto Eluana e spalancano gli occhi quando dici sì, certo che la conoscevo e chiudi la bocca perché di più non vuoi dire, ma pochissimi vogliono sapere del lago. Invece, e non capisco perché, se racconti che sei stata a Como i commenti riguardano il lago. “Ah, che meraviglia quel lago”. Che poi è lo stesso lago, e la meraviglia è la medesima. A Lecco non manca proprio niente nell’atavico derby con Como.
Ci ripensi a caso, quando sei lontana. Capita che ti trovi a osservare un gruppo di alberi che dondola prima del temporale e ride con te di pensieri d’amore perduto, e il cuore si strizza perché forse sarebbe tutto più leggero se gli stessi pensieri nascessero durante una passeggiata sul lago. Perché in fondo il lago è così: ha sempre accolto le delusioni e i tradimenti, gli amori rotti e quelli ancora da fare. Quel lago di cui non ci si accorge non protesta e sta zitto: sa che potrai scappare e volare altrove, ma ritornerai a desiderarne il profumo.
© MariaGiovanna Luini, 2016