Buio in sala di Daniela Scudieri

Alla fine papà ha detto “basta, stasera ti porto al lavoro con me”, e ho preso a saltellare per tutta la casa, evviva! Quando lui alla sera non c’è accendo le luci in ogni stanza e la televisione a tutto volume, e mi addormento a pancia in giù con la testa schiacciata sotto il cuscino.
Al lavoro, mi ha detto di aspettarlo di sotto – io volevo restare a guardarlo trafficare con cavi elettrici e microfoni insieme agli altri uomini, uno con una bandana sui capelli mi ha sollevato e messo a sedere per scherzo in cima a una scala a pioli.
Il salone nel seminterrato era uguale a quello dell’oratorio, con le sedie di plastica e gli armadietti di metallo scrostato.
Quando ho alzato la testa e i pollici dal cellulare, il viavai di gente, di cappelli e scarpe strane era finito. Ero solo. Le assi di legno del soffitto tremavano sotto i passi di qualcuno, avanti e indietro. Da sopra arrivavano anche scoppi di voci come in un film, scrosci di musica e risate. Invece nel salone c’era un silenzio che mi gelava fino alla punta delle dita.
Quando ne ho avuto abbastanza di tirar calci a una bottiglietta di plastica, l’ho scagliata con violenza contro il muro e la pittura scrostata è venuta giù. Applausi da sopra.
Il corridoio piastrellato con tante porte di ferro sui due lati era fatto apposta per correre, ma mi ha anche ricordato la mamma com’era all’ultimo, quando provava a farmi ciao alzando il braccio trafitto di aghi e tubicini.
Allora ho spinto il maniglione antipanico della porta in fondo e mi sono ritrovato in un cortile ingombro di bidoni della spazzatura. La sera era fredda e piovigginosa.
Sono rientrato.
Una delle porte del corridoio era socchiusa. Il tempo di sbirciare – uno specchio con una cornice di lampadine, le maniche di un golf penzolanti da una sedia e a terra un paio di stivaletti da donna sformati – e un’altra porta si è aperta di colpo.
Ne è uscita una signora vestita da regina antica. A ogni passo sulle mattonelle del corridoio gli strati di pizzo color miele e panna delle gonne scampanavano; ha abbassato le lunghissime ciglia verso di me, mi ha dato un buffetto sui capelli, «che ci fai tu qui, piccolino?» e ha preso a salire i gradini tenendo sollevate le gonne con le mani.
Io dietro, trattenendo il respiro.
L’ho persa in uno scroscio di applausi, annaspando contro una stoffa pesante per ritrovarmi in un grande spazio immerso nel buio.
File e file di persone sedute in silenzio guardavano davanti a sé con gli occhi spalancati, come immerse in un sogno. Nel nero baluginavano curve dorate di balconi, becchi di uccelli d’oro che reggevano globi di vetro, un gigantesco gioiello pendente dal soffitto. Tutto prometteva splendore, e il calore dei velluti rossi e di migliaia di lampade in attesa di riaccendersi mi scaldava le guance e le mani come un bel fuoco.
Finché una mano mi ha afferrato e tirato indietro, la tenda è ricaduta e ho sentito lo strappo tra me e la stanza dorata, come se si strappasse la stoffa di un bel vestito.

©Daniela Scudieri, 2020
©Foto di cortina di Leonardo Cassi

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