Avere o Essere?

Non c’è cosa peggiore del vedere un ragioniere che cerca di fare il poeta. Sarebbe il caso di stendere un velo pietoso – e dunque impietoso – su quest’immagine. Non si capisce bene perché un’umanità composta per il novantanove per cento di ragionieri debba avere così inviso quell’un per cento di poeti. Una rimanenza. Un fondo di bottiglia. Eppure la super corazzata dei contabili – i “cassieri”, secondo Baudelaire – proprio non sopporta questi individui che “soggiornano nello spirito e nella fantasia”. Il fatto è, come dice Miller, che ai poeti “tocca il compito di sedurci e di renderci insopportabile questo mondo che ci incatena”.

Fatto sta che ogni tanto capita che a un ragioniere salti il ghiribizzo di assumere pose da poeta. Così, forse perché pensa erroneamente che basti fingere, recitare per diventare qualcuno
che non si è. O forse perché vuol lanciare un guanto di sfida al poeta stesso: hai visto – dice il ragioniere sprezzante – com’è facile per me diventare come te! E allora vedi il ragioniere che s’industria a scrivere libri – ma non gli riesce benissimo – a pubblicare libri e perfino a vendere libri – e questo sì, gli riesce
benissimo. Poverino non ha ancora capito quello che ogni poeta sa fin da quando nasce: non si è ciò che si ha, si è ciò che si è, non conta ciò che fai ma ciò che sei.

È questa l’epoca che ha sostituito al “To Be or not to Be?” un altro quesito: “To Have or to Be?”. Avere o Essere? Come ha dettagliatamente codificato Fromm e come, d’altra parte, Marx aveva preconizzato: “Meno si è, e meno si esprime la propria vita; più si ha, e più è alienata la propria vita”. È l’epoca del possesso. Per questo non riesce al ragioniere di fare il poeta. Perché, fondamentalmente, il poeta non possiede niente. Nemmeno le proprie contraddizioni. L’ha scritto anche Pessoa:

“Il poeta è un fingitore. 
Finge così completamente 

che arriva a fingere che è dolore 
il dolore che davvero sente

E quanti leggono ciò che scrive, 
nel dolore letto sentono proprio 

non i due che egli ha provato, 
ma solo quello che essi non hanno.
 

E così sui binari in tondo 
gira, illudendo la ragione, 

questo trenino a molla 
che si chiama cuore.”

©Davide Marchetta

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