3Scene [1] di Alessandro Morbidelli

OUT OF THE FURNACE

“Out of the furnace” di Scott Cooper, tradotto in italiano come “Il fuoco della vendetta” è un film che vi consiglio di recuperare. Ve lo consiglio in tre scene.

È inverno. I profili del carcere sono coperti ti neve, così come un paio di alberi rachitici e spogli. Il cielo è una distesa di nulla soffocato dal freddo e l’edificio è un ammasso di pietra del colore del sangue quando si incrosta sull’asfalto.
Dentro, gli occhi di due fratelli si cercano e si trovano. Da una parte il visitatore, Rodney, dall’altra il carcerato, Russell, fratello maggiore. Rodney ha lo sguardo di un tossicomane e la barba di qualche giorno. Negli zigomi c’è la morte, la stessa che accarezza prima di scavare, la stessa che era sull’Urlo di Munch stretta tra due mani, la stessa che scivola via dagli occhi.
«Ha cercato di resistere per poterti rivedere. Ma non ce l’ha fatta» dice Rodney.
Russell ha la pelle tumeffatta. Sulla fronte corrucciata, intorno agli occhi lucidi, ai lati della bocca stretta nel dolore. Ha il labbro spaccato nel mezzo.
«L’hai messo vicino a mamma?» chiede.
«Sì…» risponde il fratello.
«Ok… Per fortuna eri a casa.»
Rodney annuisce, senza smettere di fissare il vuoto.
Russell sospira. Guarda suo fratello e vorrebbe davvero portargli via il dolore, tenerselo per sé e soffocarlo. Sorride, come solo i fratelli maggiori sanno sorridere ai fratelli minori.

Russell e Lena salgono i gradini di un cavalcavia coperto di reti e di ruggine. La scala è divisa in due parti da un poggiamano fatto di tubi. Si lasciano alle spalle i tetti in legno delle case di Braddock. Lei indossa una camicia a quadretti e un paio di jeans. I capelli, scuri come la pelle, sono liberi di adagiarsi sulle spalle sottili. Russell è molto dimagrito. Il maglione gli sta largo, così come i pantaloni. Subito dopo aver salito l’ultimo gradino, la voce di Lena interrompe il silenzio.
«Stai a casa di tuo padre?»
Russell si gratta un fianco.
«Sì…», sorride, «sto cercando di rimetterla in sesto»
Percorrono ancora qualche passo.
«Sono andata al funerale…»
«Lo so. Grazie, è stato… è stato importante per me, grazie.»
Un corvo gracchia. In lontananza, il rumore delle auto.
Lena sorride, ma è il sorriso di un’ombra in balia del vento. Abbassa lo sguardo. Non trova più alcun senso nel nascondere la tristezza.
Si appoggia al parapetto del cavalcavia con la schiena. Ha gli occhi che sono gocce. E il mare è in tempesta.

C’è la foto incorniciata di un bambino che stringe un fucile, mirando un bersaglio che non guarda, perché sta sorridendo al fotografo. C’è un cappello militare, di quelli che indossano i marines. C’è la tazza con i colori dei Pittsburgh Pirates e una palla da baseball appoggiata sopra.
La credenza che tiene tutto questo in un angolo è vecchia e fuori moda.
Russell prende la foto e la osserva.
Dietro di lui, fermo sulla porta, lo zio Red tiene una mano in tasca e una sullo stipite. Si decide e infine entra nella stanza, raggiungendo Russell.
Gli appoggia una mano sulla spalla.
«Ha sempre avuto dei problemi…» dice lo zio, «Fin da quando era bambino. Glielo leggevi negli occhi, soprattutto dopo la morte di vostra madre…»
Russell esce di casa. Sullo sfondo, le ciminiere della fornace raccontano la storia di una città che non vuole morire. La voce, però, è di chi è già nella tomba.

© Alessandro Morbidelli, 2017

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