La finestra [5] di Barbara Garlaschelli

 

©Gaia De Luca, tutti i diritti riservati
©Gaia De Luca, tutti i diritti riservati

L’Ernesto e lo yoga

 

«E’ come vivere in galera, guarda. No peggio, in un campo di concentramento.»
La voce dell’Ernesto riusciva a penetrare le pareti della stanza.
Gilda stava mescolando la carne per  il sugo ché quel giorno, come tutte le domeniche, sarebbero arrivati sua sorella Ada, il cognato e i nipoti. E come tutte le domeniche si sarebbero sorbiti il veleno sputato dal loro padre.
«Un campo di concentramento, capito?»
Ernesto Valmonte, anni 95, non solo un campo di concentramento non lo aveva mai visto, ma era riuscito pure a sfilarsi da due guerre mondiali, infrattandosi chissà dove. Fervente fascista durante l’epoca del fascio si era trasformato, come tanti suoi compatrioti, in fervente repubblicano al termine del Ventennio. Aveva votato Democrazia Cristiana anche quando quest’ultima aveva cessato di esistere. “Perché io morirò democristiano, sappiatelo anticristi!” Gli anticristi erano i componenti della famiglia, tutti, anche quelli che votavano Berlusconi.
Gilda trasse un profondo respiro come le aveva insegnato il suo maestro di yoga. “Trova un punto fuori di te e concentrati su quello poi respira dalla pancia, profondamente e  qualunque immagine o suono arrivi tu lo ringrazi, lo saluti e lo lasci andare per riconcentrarti sul punto che hai scelto. Non è facile ma puoi farcela Gilda.”
Il fatto era che l’unico punto fuori di sé era la voce del nonno (era “nonno” anche per lei che gli era figlia). E anche il sugo.
«Sono dei parassiti, tutti. Tutti quanti.» La voce stridula si stava rivolgendo a un cugino, unico sopravvissuto della famiglia paterna, anni 98, sordo come un sasso, così da costringere l’Ernesto a urlare.
Il padre di Gilda  era su una sedia a rotelle da dieci anni  e da dieci anni lo avevano parcheggiato da lei “perché tanto sei single e papà ti fa compagnia”. Ogni tanto le pareva di essere una delle protagoniste di Parenti serpenti.
Qualunque immagine o suono arrivi tu lo ringrazi, lo saluti e lo lasci andare per riconcentrarti sul punto che hai scelto.
Papà era sempre stato un cerbero, prima con sua moglie, poi con le figlie, i generi, i nipoti. Se non altro aveva distribuito la sua cattiveria con spirito democratico, seppur poco cristiano.
«Ma io li pianto qui tutti e me ne vado. Cosa? Ho detto che li pianto qui tutti e me ne vado! Vabbè, Carlo ti saluto che tanto non capisci un tubo. Ciao.» Due secondi di silenzio e poi «Giiiiiiiiildaaaaaa!»
Qualunque immagine o suono arrivi tu lo ringrazi, lo saluti e lo lasci andare per riconcentrarti sul punto che hai scelto.
Dieci anni così. Di urla, strepiti, cattiverie. Di “Giiiiiilda” urlato come un coltello che si lancia e che colpiva sempre lei, dritto al cuore.
Gilda smise di colpo di girare il  sugo.
Qualunque immagine o suono arrivi tu lo ringrazi, lo saluti e lo lasci andare per riconcentrarti sul punto che hai scelto.
Si diresse verso la stanza di suo padre, aprì la porta.
«Giiil…» quando l’Ernesto vide l’espressione della figlia il nome gli morì in bocca.
Lei non disse niente, gli andò incontro, poi girò dietro la sedia a rotelle e lo spinse fuori dalla stanza. Attaversarono il soggiorno, la cucina, arrivarono davanti alla porta di casa che lei aprì con calma, poi uscirono sul ballatoio e poi…
Qualunque immagine o suono arrivi tu lo ringrazi, lo saluti e lo lasci andare per riconcentrarti sul punto che hai scelto.
«Ciao papà. Magari ti ringrazio un’altra volta.»
Non aspettò di sentire il tonfo lungo le scale Rientrò rapida in casa e chiuse la porta dietro di sé. Aveva paura che le si bruciasse il sugo.

©Barbara Garlaschelli, 2o15

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