Il torto più grande che è stato fatto alla Musica è quello di averle dato una data di scadenza: esce un
disco, lo si promuove per un po’ e dopo qualche mese lo si dimentica perché distratti dal nuovo. Un
turbine escogitato dal music business in nome del guadagno, che ha inquinato il sentire di generazioni di giovani e condizionato le carriere di grandi musicisti. Dimostrare che la musica non ha tempo è il primo dei motivi per cui ripropongo l’ascolto di Qohelet. L’album è il frutto della collaborazione tra Gianni Venturi, che ha prestato al progetto la voce e i versi, e Alessandro Seravalle che con la sua chitarra ne ha dipinto le atmosfere.
Artisti dalla grande sensibilità e di grande spessore culturale che di tanto in tanto incrociano le loro visioni e regalano grandi album ma… Entriamo nelle atmosfere di Qohelet.
Non sono quel che si può definire un religioso, non ho verità né certezze e per questo motivo mi
piace ricercare nei testi sacri delle varie religioni frammenti di verità. Verità che per essere
apprezzate spesso devono essere estrapolate dal contesto originario ma che, subito dopo, diventano
parte del mio essere. Dove porterà questo percorso? A dire il vero non lo so, ma sono fortemente
convinto che qualunque verità di fede se realmente applicata nella vita di tutti i giorni serva a
migliorarci come persone. Ed è evidente, oggi più che mai, il bisogno di ritrovare una nuova
spiritualità. La pandemia ha infatti da un lato sgretolato le effimere certezze dell’uomo occidentale,
dall’altro acuito ulteriormente le disuguaglianze sociali. Una svolta all’orizzonte? Saremo migliori?
Direi proprio di no. A dominare è la cecità e anche nel momento in cui ci si appella ad un Dio,
qualunque esso sia poco importa, a dominare è spesso la platealità del fanatismo e…
E nel frattempo Madre Natura ci ricorda con violenza e forza la nostra dimensione di ospiti temporanei.
Una dimensione che chiunque si professi religioso dovrebbe conoscere bene. Qohelet, se usiamo il
termine ebraico o Ecclesiaste nella versione greca è uno di quei libri della Bibbia che tutti
dovrebbero leggere e meditare. Non mi addentro su questioni bibliche ma, qualunque sia il credo o
il non credo, questo libro spoglia l’esistenza di tutte le sue vanità e la riconduce alla sua dimensione
di effimero. Sappiamo che il libro risale probabilmente al III a. C., nulla sappiamo dell’autore e di
chi l’ha rimaneggiato, ma è indubbio che ogni uomo prima o poi, a prescindere da una sua lettura,
debba confrontarsi con i suoi grandi interrogativi. Nelle vesti di due novelli predicatori, ecclesiaste
letteralmente significa questo, Gianni Venturi e Alessandro Seravalle ricordano senza mezzi
termini chi siamo e qual è il nostro ruolo nell’Universo. Il progetto ha lo stesso nome del libro
biblico Qohelet e di quel libro mantiene lo spirito, ma la rilettura è sferzante e lacera quella coltre
di ipocrisia che ammanta la nostra realtà. Ognuno dei sei brani offre uno spunto di riflessione e
mette in evidenza la cecità del nostro agire e non è un caso che il primo abbia come titolo Bipede
Eretto. È il trionfo del consumismo, del menefreghismo, del qualunquismo, con l’inesorabile
passare del Tempo che tutto cancella e tutto porta via con sé. E mentre la nave dei folli continua la
corsa verso la fine, lasciando dietro di sé macerie e martiri, Madre Terra dice che c’è un tempo per
mandare il bipede eretto a farsi fottere! Un Tempo che sembra si stia pericolosamente avvicinando
grazie ad una tecnologia sempre più irrispettosa del pianeta e, soprattutto, grazie all’avvento al
potere della mediocrazia che ci sta conducendo verso un nuovo conflitto mondiale. La risposta alla
domanda delle domande, ovvero qual è lo scopo ultimo del vivere, la ritroviamo tra le pieghe di
Fame Di Vento. Una risposta cruda, schietta che ribadisce che nulla è eterno. Non esiste patrimonio
o potere che la Fortuna non spazzi via e non esiste uomo che possa esimersi dal suo ineluttabile
destino. Durante la pandemia mi ha colpito molto il respiro della Natura che, indifferente al dolore
umano, riprendeva meravigliosamente i suoi spazi. E, inevitabilmente, ho pensato a quanto poco ci
vuole per annullare il nostro mondo, paradossalmente, basterebbe un blackout mondiale per
azzerare debiti e ricchezze e per precipitare l’umanità in un nuovo anno zero.
Non definirei Qohelet un album scuro e pessimista o se lo è non è più della realtà che viviamo. Mi piace pensarlo come l’album della presa di coscienza. Come ho scritto all’inizio, c’è bisogno di una nuova umanità e di una nuova spiritualità e perché ciò avvenga è necessario considerarsi solo un anello di un sistema fragile e complesso.
Qohelet è stato una rivelazione nel 2020 e continua ascolto dopo ascolto a svelare le sue verità. Il
secondo motivo per cui ripropongo l’ascolto di quest’album è condividere con chi leggerà queste
righe la notizia di un secondo album che sarà dedicato al Cantico dei Cantici. Ho avuto il piacere
di ascoltare qualche brano in anteprima e posso solo dire che ci troviamo difronte ad un altro
capolavoro senza tempo ma ora è tempo di ascoltare 21 grammi.
©Fortunato Mannino
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