
Il Tempo dovrebbe essere sempre riempito, usato, mai assassinato, come si usa dire: “non so come ammazzare il tempo”, quando sento questa frase mi salgono i succhi gastrici al cervello. Ma come,
ammazzare il Tempo? Non ne abbiamo mai abbastanza e voi lo volete pure accorciare? Dovreste trovare un modo per curarlo, tenerlo al calduccio, vezzeggiarlo, concimarlo, nutrirlo, in modo che
duri di più. Ci sono io, che non so curare neanche un’erbetta infestante, se la gramigna fosse stata sotto la mia tutela Gesù avrebbe dovuto tagliare metà delle sue parabole, pensate con quanta
maestria riesca ad aver cura del mio Tempo, assai più delicato di una pianta.
Io il Tempo lo rincorro, lo chiamo a gran voce, arrancando, cercando di blandirlo, hey amico, datti una calmata, “vai scialla” ho letto su un social, che vorrebbe dire, appunto, prenditela comoda.
Una volta l’ho detto al Tempo e quello mi ha distanziato di ulteriori due misure, volete forse dargli torto? Scialla.
Che modo barbaro di usare il Tempo, parlare male, scrivere “scialla” sui social che contengono le chiacchiere di gente che non conosco e della quale non mi interessa nulla. Resta il mistero del perché abbia sviluppato questo riflesso condizionato di riempire i momenti brevi tra un pezzo di vita e un altro con la lettura delle impressioni che GiavanFranco Bandiere e Numeri si è fatto degli ultimi conflitti
mondiali e del pericolo del consumo di insetti, ingeriti ancora vivi, come da grafica del post del ministro Coso, tanto che in bocca si dimenano e protestano perché di esser ingoiati non sono certo lieti.
Io so che poi mi verrà un gran nervoso perché Simonetta Cuore e Siringhette si paleserà sotto un mio post dove descrivo la diarrea del mio gatto, per maledirmi e spiegarmi che è tutta colpa del vaccino.
Quello che ho fatto io.
A rigore di logica dovrei eliminare le applicazioni e perdere quell’abitudine, ma poi penso che quelle sono
occupazioni da pochi minuti, mentre l’acqua bolle, la fila alla cassa scorre, la pubblicità in tv, no, la pubblicità non è possibile, guardo solo tv on demand, per occupare bene il Tempo, appunto. Non ne
esco perché ragiono come un tossico, smetto quando voglio e che sarà mai, solo un minuto e poi sono dieci. Sono un’ansiosa, questo non mi assolve ma spiega il fatto che all’idea di sprecare il Tempo mi tremano le mani e compio scelte scellerate. Sono sempre fuori sincrono, leggermente, impercettibilmente, quel tanto che basta per apparire sbagliata, come uno strabismo appena accennato. A Venere stava un gran bene, a me fa sembrare sghemba. Per aiutarmi a restare in equilibrio
creo infinite routine, così so sempre cosa fare e ottimizzo il Tempo.
Questa pratica è ampliamente utilizzata con successo dalle persone molto impegnate, con tante cose da fare durante la giornata, l’agenda piena e la testa leggera. Non è il mio caso. Io devo sapere che il martedì e il giovedì mangio uova, lunedì carne, venerdì formaggio, altrimenti rischio di ritrovarmi davanti al frigorifero aperto, ferma per minuti interi a pensare a cosa scegliere, ho voglia di quello ma pure di quell’altro, ma non era ieri che ho messo a tavola il piede di scarafaggio? Allora oggi sarebbe il caso di scegliere le viscere di gnomo, e se optassi per la patata? Sei folle? Tra bollitura dell’acqua e cottura, ci metteresti almeno mezz’ora e sono già dodici minuti che sei qui impalata. Potrei morire di freddo
davanti a quello sportello, mi ritroverebbero a terra come la mummia del Similaun, le braccine secche e brune, l’espressione interrogativa, non per lo shock di una freccia piantata nella schiena
ma per il panico di non saper scegliere cosa mangiare a pranzo. Per lo stesso principio ho deciso che mi lavo i capelli ogni lunedì e venerdì, senza deroghe, senza eccezioni. Decido, programmo, dispongo.
E poi c’è la vita.
Quel venerdì mattina, essendo l’unica condomina in casa, avevo l’incarico di aspettare la ditta delle pulizie nel condominio, per discutere di alcune modifiche di orari. Giovedì sera ero già in ansia perché naturalmente quel compito andava a scombinare la mia routine dello shampoo. Al mattino stavo immobile, in bagno, davanti allo specchio, che faccio, mi butto velocemente sotto la doccia e punto a essere pronta per l’arrivo del signor Enzo? Ma quello non ha regole, non ha orari fissi, non so come faccia a sopravvivere il resto del mondo senza attenersi a un piano. Dopo 7 minuti, mezza spogliata davanti allo specchio, indecisa sul da farsi, le punte delle dita blu, decisi che di qualcosa si deve pur morire e non
vorrei fosse di raffreddore, quindi pensai che per una volta volevo vivere pericolosamente e mi spogliai in fretta. L’acqua era incandescente perché non avevo avuto il Tempo di miscelarla a dovere, non un toccasana per i capelli, quindi due passate (sempre due o multipli di due) e risciacquo ghiacciato. La pelle del viso aveva cominciato a colare sotto il getto lavico iniziale, ma si cristallizzò dopo il contatto con la brina finale, quando nella cabina cominciò a nevicare e due renne in volo mi fecero un cordiale segno di saluto.
Al termine delle infernali abluzioni decisi che la sorte mi assisteva, quindi perché non osare anche procedere con il rito dell’unzione del corpo? Olio per le gambe, crema di mandorle per il resto del corpo,
a manate sulla schiena, scudisciate per fare prima, un graffio su seno col braccialetto, un dolore folle, ma si viaggiava bene e continuai fino alla fine con le lacrime di dolore che mi offuscavano la vista.
Indossai velocemente i jeans, ero fiera di me, potevo vedere il traguardo e sentire la colonna sonora di “Momenti di gloria” sussurrata da un coro di angeli, sapevo che sarei riuscita a vestirmi e ad asciugarmi i… il suono del citofono interruppe il sogno. In bilico su un piede solo, mutande al contrario, ciabattone di spugna, testa grondante, l’istantanea impietosa di un quasi-successo.
Corsi a rispondere, passando davanti alle finestre di casa che davano sulla strada, solo jeans e ciabatte. L’edicolante mi fece ciao ciao.
Calcolai che avevo ancora pochi secondi prima che il signor Enzo fosse davanti alla mia porta. Che faccio? Asciugamano sulla testa?
Solo se sei Liz Taylor. Stavo perdendo Tempo prezioso e dovevo ancora indossare qualcosa sui jeans, ripresi il controllo dei nervi e rifeci il percorso a ritroso per tornare in bagno. Feci un cenno di saluto al barista e a una piccola folla di avventori, gli autografi li firmo solo dopo mezzogiorno. Indossai una felpa e passai per la terza volta davanti a un pubblico curioso, assiepato sotto le mie finestre, manco dovessi recitare un Te Deum.
Presa da un delirio di totale esaltazione per i risultati raggiunti, aprii la porta appena udito lo scalpiccio sul pianerottolo, senza aspettare che il signor Enzo suonasse il campanello, ero un distillato di efficienza.
Era un signore di mezza età, l’aria di uno disinteressato a ogni cosa, forse aveva già visto tutto nella vita, anche una donna visibilmente accaldata, con i ciabattoni da doccia e i capelli sgocciolanti. Kelly
LeBrock avrebbe detto “serviti il pasto, cowboy” e sarebbe stata credibilissima, io dissi solo buongiorno. Cercai di spiegare velocemente il problema, sperando che la mia testa grondante non lo distraesse. Effettivamente il signor Enzo annuiva con la solita indifferenza, come se ciò che vedeva fosse perfettamente normale, ma quando ho fretta e non mi ritrovo in una situazione imprevista, perdo il mio proverbiale dono della sintesi e divento prolissa e ridondante. Uno scricchiolio dietro la nuca, saranno le parole che si sono incastrate da qualche parte, nel collo, e non riescono a trovare la bocca, come un ingorgo, un imbuto, il Grande Raccordo Anulare.
Parlavo e gesticolavo, sotto lo sguardo annoiato del mio interlocutore e intanto sentivo quel leggero rumore interno, due lembi di cartone stracciati lentamente. Un lieve dolore, come un livido sotto la pressione di un dito. Continuai a esprimere il concetto nel modo più caotico possibile, la testa sempre più
immobile, il collo rigido, il colpo della strega.
«Signora, stia attenta, c’è corrente», disse. Volevo terminare il concetto, ormai era una questione personale, non è importante vincere ma morire provandoci, insomma, signor Enzo, può cambiare il giorno delle pulizie da venerdì a lunedì? Aveva sempre annuito, alla fine rispose solo «sia buona signora, va bene, ma non mi faccia perdere Tempo».
©Ale Ortica