Lettere d’amore per chi ne ha bisogno

“Lettere d’amore per chi ne ha bisogno”: i raggi di un sole obliquo e autunnale colpivano e mettevano in risalto la scritta bizzarra di un’ insegna in ferro battuto che non nascondeva i segni del tempo.
“Strano – pensò l’uomo – passo sovente per questa via eppure è la prima volta che mi accorgo di questo negozio.”
La porta e gli stipiti in legno della vetrina erano dipinti di uno scolorito viola lavanda; la luce si rifletteva sul vetro e gli impediva di vedere che cosa il negozio esponesse.
Forse era una cartoleria. O una libreria. Sì, doveva per forza essere così. Chi sarebbe stato così folle da vendere lettere d’amore? E chi ancora più folle di volerle comprare?
La luce del sole scese ancora: “Ho la vista abbacinata” pensò l’uomo e subito gli tornarono alla mente alcuni versi de La duchessa di Amalfi di John Webster.
“Copritele il volto, ho la vista abbacinata; è morta giovane.”
No, a differenza di quanto accadeva nel dramma del teatro elisabettiano, lui
non aveva ucciso nessuna donna, almeno non in senso letterale. Ne aveva ucciso la fiducia e nel più banale dei modi: un tradimento. Stupido, sciocco, insensato. Se ne era pentito immediatamente, ma comunque troppo tardi.
L’ uomo inspirò spingendo aria nei polmoni, come a voler scacciare il senso di oppressione che avvertiva sul petto, quindi, vinto dalla curiosità, sospinse la porta d’ingresso del negozio ed entrò.
La stanza era ampia,  poco illuminata e polverosa. Gli scaffali erano pieni di scatole di cartone e dentro, fitte, decine e decine di buste: ne prese una, la aprì e vide che dentro c’era una lettera, scritta a mano, con una grafia minuta e aguzza.
Perplesso, l’uomo si guardò attorno: in fondo alla stanza, dietro ad una scrivania che raccoglieva luce da una finestra alle sue spalle, vide una figura china, intenta a scrivere.
Il controluce gli impediva di capire se si trattasse di un uomo o di una donna e solo quando fu a meno di un metro dalla pesante scrivania in noce, si accorse che era una donna.
Secca, ossuta, di età indefinibile ma non più giovane, la donna portava i capelli raccolti in una crocchia in cui teneva appuntate alcune matite.
Quando lei alzò la testa con sguardo interrogativo, gli venne da pensare di essere di fronte alla versione arcigna di Olivia, la fidanzata di Braccio di Ferro.
«Volevo solo dare un’occhiata.» si giustificò l’uomo, imbarazzato sotto quello sguardo inquisitorio e poco benevolo.
«Prego, prego.» bofonchiò la donna riprendendo il proprio lavoro di scrittura.
Da uno scaffale sulla sinistra, un enorme gatto nero balzò pesantemente a terra per zompare subito dopo sulla scrivania. La donna, senza smettere il proprio lavoro, allungò la mano sinistra e gli strusciò un orecchio con la punta delle dita.
Il gatto emise un mormorio soddisfatto.
L’ uomo riprese a gironzolare per il negozio, quando il cigolio della porta di ingresso annunciò l’arrivo di un nuovo visitatore. Si voltò e vide una giovane donna sulla trentina dall’aria timida e impacciata.
Curioso, si avvicinò quel tanto da poter udire la ragazza mentre chiedeva una lettera.
Le due donne poi abbassarono il tono di voce e il resto della conversazione gli sfuggì.
Vide la donna anziana alzarsi, frugare in una scatola arancione ed estrarne una busta che consegnò alla ragazza.
La cliente prese la busta, tirò fuori la lettera e iniziò a leggerla.
L’uomo si accorse che a mano a mano che procedeva nella lettura, il suo volto si rischiarava diventando meno banale e insignificante.
La giovane annuì, scambiò ancora qualche parola con la misteriosa scrivana e le lasciò alcune banconote. Nel guadagnare l’uscita, la giovane si voltò verso di lui e con un sorriso che le illuminava gli occhi gli confidò che nessuno le aveva mai scritto una lettera d’amore e quella era la prima che riceveva.
Perplesso, l’uomo si stava chiedendo se non fosse vittima di uno scherzo grottesco, quando la proprietaria del negozio attirò la sua attenzione con due colpetti di tosse: «Siamo in chiusura, sa? E sì, siamo proprio in chiusura.»
«Forse – rispose l’uomo dopo una pausa di riflessione – ho bisogno di una lettera anche io.»
«Per una donna, immagino. Per una donna.»
L’uomo annuì e dentro di sé sorrise al vezzo di lei di ripetere ogni cosa due volte.
«Certo, certo.» bofonchiò la donna sparendo dietro ad uno scaffale più alto di lei.
Ricomparve dopo qualche minuto e, sempre scuotendo la testa, gli mise fra le mani una busta di un tenue celeste.
L’uomo la aprì: la lettera, scritta a mano con inchiostro blu, era lunga quasi due pagine.
«Legga pure, legga pure.» disse la donna tornando alla sua scrivania.
L’uomo iniziò a scorrere la pagina.
“Tu sei una particolarità, non sei la metà che cerca la metà, ma la vita ti ha forgiata in un unico intero che riempie e completa chiunque ti si avvicini. La ricchezza del tuo essere colma le mie mancanze e i miei vuoti. Io, vigliaccamente, ho ricambiato la tua pienezza con il veleno della menzogna e del tradimento, intossicando me per primo. Nel colpire e uccidere la tua fiducia, ho ucciso me stesso, condannandomi a ricadere in un vuoto che mi atterrisce. Vorrei che tu mi dessi la possibilità di lenire e guarire le ferite che ti ho inferto con azioni che raccontano amore, dedizione, cura.”
L’uomo sollevò gli occhi dalla lettera cercando i ricacciare nello stomaco il nodo che gli si era formato in gola.
Il suo sguardo liquido incrociò quello della donna.
«La prendo – disse l’uomo – è la mia lettera.»
Le lasciò alcune monete sulla scrivania, salutò con un cenno del capo e uscì nella foschia che stava avvolgendo la serata.
Una volta in strada, sentì alle sue spalle il rumore della serranda che calava. Si voltò mentre la luce dell’insegna si spegneva. Il buio e la foschia diluirono i contorni della bottega fino a inghiottirli.
L’uomo infilò la mano in tasca e accarezzò la busta. Sorrise e ad ampi passi si diresse verso casa.

© Viviana Gabrini, 2020


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