
Sul tabellone appeso alla parete di fronte compare il numero 70.
“Abbiamo vinto?” chiede la signora Elvira con una punta di apprensione nella voce.
Cesj la guarda e sorride: “Sì, signora Elvira, abbiamo proprio vinto, abbiamo fatto una bella cinquina!”
La signora Elvira sorride compiaciuta e si sfrega le mani.
“Adesso lei mi aspetta qui e io vado a ritirare il premio. Mi raccomando, siamo d’accordo, lei non si muove da qui. Vero?”
Elvira annuisce, pregustando il premio. Cesj si alza, raggiunge lo sportello dell’accettazione, e mentre l’impiegata le timbra il modulo della prenotazione, dalla tasca della giacca estrae un pacchetto di caramelle all’anice e lo nasconde nella mano.
Poi torna dalla signora Elvira e le consegna il premio.
A Elvira brillano gli occhi, mentre scarta e gusta il dolcetto: l’anice è il suo gusto preferito e Cesj lo sa.
Appoggiandosi alla compagna, l’anziana si alza e, aiutandosi col deambulatore, la segue docile verso lo studio della specialista.
“Dove andiamo?”
“Ma come, signora Elvira, si è già dimenticata? La prova dalla sarta, lei oggi si deve provare il vestito per il matrimonio di sua nipote.”
“Ah, è vero, è vero, mia nipote si sposa domenica e io devo essere bellissima, devo essere elegante e inappuntabile come una vera signora.”
La visita dalla fisiatra dura meno di venti minuti: la dottoressa trova Elvira in buone condizioni, le ginocchia reggono, la pressione è bassa, i valori del colesterolo e della glicemia sono sotto controllo.
“Andiamo molto bene, signora Elvira, molto bene. Ci rivediamo fra sei mesi.”
L’anziana guarda la dottoressa: “Sei mesi? Ma no, mia nipote si sposa prima di sei mesi!”
La dottoressa sorride, guarda Cesj e poi di nuovo Elvira: “Ha ragione, signore Elvira, mi perdoni, sono la solita smemorata. Ci vediamo la prossima settimana!”
Elvira sorride e, uscita dalla porta, si è già dimenticata della dottoressa, della sarta e del matrimonio della nipote.
Piano piano, passetto dopo passetto, con molta calma e molta lentezza, le due donne raggiungono l’auto. Cesj aiuta l’anziana a salire, le aggancia la cintura di sicurezza e poi si mette al volante.
“E adesso dove andiamo?” chiede Elvira, attenta e curiosa.
Alla casa di riposo si pranza presto e Cesj sa che deve riportarla prima delle undici e mezzo. Il menù, di solito, prevede minestrina, pollo lesso, acqua naturale e una mela cotta.
“Oggi la porto in un bel locale sul fiume e faremo uno splendido pranzetto.”
Elvira è felice: “Festeggiamo qualcosa?”
“Sì, signora Elvira, festeggiamo il mio compleanno.”
“Oh, che bella cosa, ma non ti ho preso il regalo.”
“Non le credo, signore Elvira, scommetto che ha un regalo per me nascosto nel comodino della sua camera.”
“È vero! Hai proprio ragione. Faremo anche un brindisi?”
“Un buon bianco frizzantino non ce lo toglie nessuno.”
Elvira si abbandona sul sedile con un sospiro soddisfatto e inizia a prestare attenzione alle canzoni alla radio, mentre Cesj guida sicura e tranquilla nel traffico.
Le due donne si sono conosciute sei mesi prima, quando Cesj ha iniziato a fare volontariato presso un’ associazione che si occupa di assistenza alle persone fragili: anziani, malati, poveri.
Elvira ha 85 anni, ha l’Alzheimer e non ha più nessuno al mondo, solo qualche nipote che si è scordato di lei.
La prima volta che Cesj l’aveva accompagnata a una visita medica in ospedale, quando Elvira le aveva chiesto dove stessero andando, aveva risposto dicendo la verità. La reazione di Elvira l’aveva spiazzata: si era agitata, aveva iniziato a piangere, a protestare. Diceva che lei in ospedale non ci voleva andare, che sicuramente l’avrebbe abbandonata là e che lei non aveva bisogno di medici.
Poi si era rannicchiata contro il sedile e non aveva più aperto bocca, con la morte negli occhi.
Giusto il tempo di arrivare all’ospedale ed Elvira si era già dimenticata tutto.
“Dove siamo?” aveva chiesto.
Allora Cesj aveva capito: “Siamo in un bel posto per giocare a tombola!”
Elvira si era illuminata.
No, si era detta Cesj, non valeva la pena raccontarle la verità, perché la verità, in alcuni casi, la faceva soffrire, la faceva piangere, la faceva disperare.
Così Cesj le ricolorava la vita, l’aiutava a scegliere i colori più belli, le emozioni migliori, i sentimenti positivi.
Perché angosciare Elvira con una verità che avrebbe dimenticato di lì a poco? Perché regalarle minuti di angoscia, di disperazione, di tristezza?
Le sue colleghe le davano della matta, Elvira le regalava sorrisi e carezze.
“Siamo arrivate?”
“Sì, signora Elvira, siamo arrivate.”
“È proprio un bel posto.”
“Un posto bellissimo.”
Elvira le sorride soddisfatta.
Il racconto è ispirato a una storia vera.
©Viviana Gabrini, 2025
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