
Settimana interessante quella appena trascorsa, soprattutto dal
punto di vista della comunicazione. Innanzitutto sono soddisfatta
dell’esito del Referendum dell’8 e 9 giugno sulla cittadinanza.
Nonostante non ami gli “ammaristi”, cioè gli aventi diritto che
invece di esercitare il diritto di voto dichiarano di andare al mare (da
non confondere con gli “ammoriammazzaristi”), indubbiamente gli
astensionisti hanno dato un ottimo contributo, di grande spessore
politico. Volevamo noi italiani di nascita, puri di stirpe, discendenti
di Pdor, Signore del Deserto, figlio di Kmer, della tribù di Istar della
terra desolata del Kfnir, neomelodici indiani, scuri dal sapor
mediorientale, dai mille dialetti, un po’ francesi, un po’ spagnoli,
curt’ e nir’, alti e chiari, purissimi insomma, volevamo noi italianidi
che un richiedente cittadinanza potesse regolarizzare la sua
posizione cominciando l’iter burocratico dopo appena 5 anni di
residenza continuativa in Italia? Cazzo, no.
È una questione di praticità, mica di razzismo.
Ho letto sui giornali che la responsabilità di quel no sarebbe da
attribuire alla scarsa o addirittura fuorviante informazione che è
stata data ai cittadini sulle varie tv di stato, quelle che vanno dal
tasto 1 a Tele Padre Pio del telecomando, ma tale interpretazione
non mi convince.
Ho anche letto alcuni commenti riguardanti una sorta di venuzza,
ma piccola, quasi un capillare, un rigagnolo leghista che scorre
storicamente nelle profondità dell’oceano di sinistra e che si
manifesta nella guerra tra poveri: il povero-poverino vede un
pericolo nel povero-super-povero appena più povero di lui, giusto
mezzo gradino sotto, perché i migranti ci rubano il lavoro. Ma certo
che te lo rubano Roccuzzo, carrozziere diplomato, officina
autorizzata revisioni auto, 90 eurini e il certificato è fatto anche se
l’auto sta esalando l’ultimo gas tossico ed è pericolosa come “Little
Boy” appena sganciata da Enola Gay. Questi qua arrivano col
furgoncino del caporale e ti occupano la carrozzeria con le loro
casse di frutta raccolta all’alba, ocio!
Mi sentirei di escludere la tesi di un signor Presidente del Senato che
non cito, il quale in collegamento con una trasmissione di La7 ha
espresso un interessante, ragionevole concetto: quei quesiti
referendari non erano giusti da porre all’opinione pubblica ma
“visto che hai deciso di farlo spiega bene il motivo per cui lo hai
fatto! no, hanno detto dalle a La Russa dalle a Meloni dalle a
Salvini”. Dalle de tacco, dalle de punta, mancherebbe solo la sora
Assunta, un tipo di dialettica che trovo molto interessante, ma
sbagliata. Gli slogan che invitavano ad andare a votare “per far
dispetto” a certe cariche dello stato sono stati lanciati in risposta agli
inviti dei ministri a non esercitare il diritto di voto e non viceversa, o
viGeversa, diGiamo.
Più che altro condivido il punto riguardante la scarsa informazione
che ha contrariato il nostro ignoto e tutta la maggioranza, tanto che
è dovuta intervenire la stessa Meloni con l’escamotage del “vado alle
urne ma non ritiro le schede”. Immaginatemi con la faccia di
Pannofino mentre urlo “genio!”. La nostra Premier ha dovuto
inventarsi questa simpatica facezia per indurre le emittenti,
inspiegabilmente reticenti, a parlare dell’esistenza dei referendum,
ma ciò non significa che dovessero pure ospitare un serio dibattito
politico per spiegare al pubblico di cosa si trattasse. Non può fare
sempre tutto Meloni.
La verità è che l’elettore italiano, molto abile e informato, ha capito
perfettamente che il quesito sulla cittadinanza “facile”, diGiamo,
non chiedeva di ridurre da 10 a 5 anni il periodo di permanenza in
Italia richiesto per ottenere la cittadinanza italiana, bensì, di ridurre a
5 anni il periodo richiesto per poter fare domanda e presentare la
documentazione richiesta. Dai, lo hanno capito tutti, prova a
chiedere in un bar, a un avventore qualunque che si sta esprimendo
sulla costituzione americana e i rettiliani. Ma vi sembra possibile che
un essere umano in soli cinque anni riesca a raccogliere tutta la
documentazione necessaria? Metà dei documenti richiesti
potrebbero essere rimasti in Libia, usati come spessore per le gambe
del tavolo di un torturatore o come feticcio per ricordare al solerte
funzionario il piacere provato nella mutilazione del prigioniero. Il
modulo della domanda va compilato nel dialetto regionale in cui si
risiede e recitato su una gamba sola (viene più facile se si arriva da
un campo di concentramento gestito da un nostro partner
strategico), con cadenza impestata, dimostrando di conoscere sagre
e tradizioni religiose del luogo. Non sarebbe giusto imporre tempi
troppo stretti al richiedente che rischierebbe di arrivare all’orale
impreparato. Considerate che in cinque anni un giovine italiano
spesso non è capace di finire le superiori, un Trota arriva a stento a
laurearsi a Tirana, per non parlare delle file per le visite
specialistiche, suvvia, cinque anni sono un battito di ciglia.
Intanto il 9 giugno si svolgeva una bucolica “Pontida francese tra le
vacche” a Mormant-sur-Vernisson, su un bel pratone, arrosticini e
birrette, frittatona di cipolle, rutto libero anche davanti al
microfono, seimila militanti tra umani e ruminanti. Il sempre ottimo
Salvini ha dichiarato davanti a una folla di groupies in delirio «Oggi
in Italia la sinistra porta al voto un referendum per dimezzare la
cittadinanza italiana ai migranti: verranno bocciati. La cittadinanza
in Italia così come in Francia non è un regalo», e menomale che lo
ha detto in italiano così che nessun francese potesse rispondere «ce
cazz qu’il a dit el terùn? In Francia si può richiedere dopo cinque
anni di residenza, non siamo mica il terzo mondo, qui t’est
stramort!». È da qui che riconosciamo la scaltrezza di un vero leader
di partito: se spara la puttanata non si fa capire dal pubblico e
magari biascica pure le parole così che pure i suoi sodali restino
confusi. Che ha detto Matteo? Che con la panza in Italia e Francia è
contropalo, mi pare, ah giusto, ecco, bravo Matteo!
Antongiulio da Giussano, ancora sobrio dopo un paio di birre
francesi si avvicina al compagno di partito Calogero, terrone da
parte di madre, e sussurra «uè, ma che vuol dire “dimezzare la
cittadinansa”? Gliela diamo a quest chì e dopo un po’ ce la
repijumm?». Calogero si è portato una soppressata da casa e una
bottiglia di vino bello carico (colpa del mezzosangue terrùn che è
dentro di lui) e pago del lauto banchetto non sta ascoltando il Verbo
del capo, forse non sa più neanche dove si trova in questo
momento. Guarda il compare e biascica un “c’ha ritt?”, rischiando il
linciaggio. Intanto Salvini continua ad arringare la folla, sempre
parlando in italiano «La minaccia non arriva da Est, da improbabili
carri armati russi, ma dal Sud e dai migranti clandestini», questa
improbabilità destabilizza Antongiulio che improbabilmente ha
capito che un’improbabile invasione in Ucraina è già in atto da anni
e improbabilmente le nazioni confinanti con quella terra massacrata,
Polonia, Slovacchia, Ungheria, Romania, Bielorussia, Moldova sono
improbabilmente preoccupate per le improbabili mire
espansionistiche della Russia. Nel segreto del suo cuore leghista, se
pensa a un negher che arriva a invadere l’Italia e a rubarci il lavoro
non gli fa così tanta paura. Di fatto Antongiulio ha giurato fedeltà al
capo carismatico attraverso le rituali abluzioni nei fiumi sacri del
nord Italia, tra panini porchettati e salsicce spacca-arterie, gli
immigrati gli stanno sinceramente sui coglioni, però se proprio
dovesse scegliere tra un manipolo di moretti e i carri armati di Putin,
potrebbe anche rivedere le priorità che si è dato nella vita.
A proposito di chiarezza, il 13 giugno il ministro Tajani ha avuto
proficue conversazioni con i suoi omologhi in Iran e Israele, che a
metterli insieme per sbaglio su zoom si rischia l’Armageddon. Il
social media manager che si occupa dei suoi profili pubblici l’ha
raccontata così: “(io, Tajani) Ho appena parlato con il Ministro
iraniano Araghchi e gli ho sottolineato l’importanza che Iran eviti
una escalation militare con Israele. Dobbiamo ritornare al più presto
al negoziato ed alla diplomazia, come ho ripetuto questa mattina sia
al Min. Esteri Gideon Sa’ar sia al Min. dell’Oman Badr Albusaidi”
Il problema nasce quando viene pubblicato un video dove è lo
stesso Tajani a spiegare la faccenda:
«Da ieri mattina mi pare che ho parlato con i ministri di Israele e
dell’Iran
“mi pare” il candidato non è sicuro di aver parlato con qualcuno o teme di aver
sbagliato numero?
che erano le 8 – 8.30 di mattina
elemento irrilevante, ma se proprio ritiene indispensabile renderci edotti di tale
particolare, sia preciso o scelga un orario a caso
e ho detto loro basta con la escalation cioè anche all’Iran ho detto
non reagite più ho detto a Israele basta fermiamo qua»
e poi li ha mandati a letto senza cena e quelli, umiliati dalla reprimenda, hanno
chiesto scusa e promesso che non lo faranno più?
Personalmente non condivido questi toni accesi, eccessivi, ma si sa
che a volte “un ministro degli esteri deve fare ciò che un ministro
degli esteri deve fare”. Amen.
Sul filo dell’incomprensibile e delle incomprensioni arriviamo alle
polemiche scoppiate il 15 giugno tra Riccardo Magi di +Europa e
Calenda di Calenda.
Durante il Pride di Roma Magi ha esposto un cartello che recitava
“Meloni amica dei Dick-tators”, alludendo agli alleati ideologici della
Premier: Trump, Putin e Orban e alle loro politiche omofobe.
Magi ha attirato fatalmente l’indignazione degli indignati che si
indignano per stocazzo de woke e non se po’ di’ più niente, e il
braccio alzato no, e la stuprata se l’è cercata no, e le barzelle belle di
Pierino sui ricchioni no, l’egemonia culturale della sinistra, ammazza
la vecchia, ammazza che palle oh!
Calenda sfodera il mitico smartphone e con la destrezza di Steve
McQueen ne “I magnifici sette” spara un tweet contro l’ex-quasi-
alleato-di-coalizione-morta-prima-di-nascere:
“Questa roba è indegna, volgare, sessista e insultante.
La commissione accetta solo l’aggettivo “volgare” ma solo se seguito da un
“signora
mia”
E se invece della faccia della Meloni ci fosse stata quella della
Schlein
Il candidato spieghi per quale diavolo di motivo Schlein dovrebbe essere accostata
a dittatori omofobi e razzisti, inoltre riveda l’uso dell’articolo davanti ai cognomi
delle colleghe in quanto tale pratica introduce un elemento linguisticamente
discriminatorio (lo dice l’Accademia della Crusca, ce devi sta’)
ci sarebbe stata una giusta indignazione generalizzata. Spero che gli
amici di +Europa si scusino rapidamente.”
Se Schlein si dichiarasse vicina alle politiche di Trump, Putin e Orban ci
sarebbe un moto di preoccupazione generalizzata, più che altro.
Alla fine di questo piccolo resoconto settimanale ammetto di essere
un po’ confusa, non so se voglio essere corretta e chiamare “Signora
Presidenta” una donna Premier che chiede di essere chiamata
Presidente e basta, la schwa lasciamo stare perché farebbe
schiumare tutta la Maggioranza, però pure sto wokismo, ma senza
woke si può dire che sei amica dei dicktatori.
Sprofondiamo nell’incomprensibile leggerezza dell’etere?
©Ale Ortica