Il carattere della gallina

L’unica cosa che so dei tacos è che una volta li ho mangiati e mi è venuto un violento attacco di maldistorrea, cioè il mio corpo li ha rifiutati con tanta veemenza da non riuscire a prendere una
decisione sulla modalità di smaltimento delle scorie, sopra o sotto? vomito o diarrea? Optò per una posizione democristiana, entrambe le direzioni e nello stesso momento. Scomodo ma efficace. Rischiai
di perdere un volo ma imparai la lezione, infatti adesso leggo quella parola e già avverto i crampi nello stomaco: non farlo, stai lontana dai tacos. Come glielo spiego a questo mio corpo diffidente che qui
si parla di politica? Questa settimana ho scoperto che il presidente Trump “fa il taco”, cioè si comporta come una gallina in fuga, tanto per fare una citazione cinematografica. In inglese “to chicken out”
significa “tirarsi indietro”, “non avere il coraggio”,” ritirarsi per paura”, richiamando l’atteggiamento diffidente e caciarone del gallinaceo, il quale non apprezza la condivisione dei propri spazi con
gli umani e si ritrae balzando platealmente quando questi s’appressano fastidiosi. In realtà la gallina non è affatto un animale vile, anzi, chi ha dimestichezza coi mini tirannosauri sa che se questi si fanno girare i coglioni possono ferirti a suon di beccate e speroni nel culo. A ben guardare, è più un atto di cortesia quello di evitarti.
Trump viene accostato alla presunta pavidità delle galline in riferimento al vizietto di ventilare nuovi dazi per poi cambiare idea repentinamente. Che poi cos’è un dazio? È più un’idea, una proposta, dice “che fai stasera? Boh forse una birra da Joe’s” ma può essere che invece uno opti per una pizza dallo spacciatore di colesterolo sulla Settantatreesima, oppure alla fine si resta a casa a guardare Netflix, cioè uno non può essere sempre preciso.
Recentemente il presidente ha risposto a un giornalista che lo insolentiva, chiedendogli cosa pensasse del nomignolo “taco”, che in realtà egli non merita tale ingiusta canzonatura in quanto lanciare e ritirare dazi non è sintomo di paura dei mercati ma “negoziazione”. È giusto. Come quando esordì lanciando dazi
contro il Canada, la cui pacata risposta fu svuotare nel giro di venti minuti tutti gli esercizi commerciali della nazione dai prodotti americani.
All’improvviso i social si riempirono di immagini di negozi che sembravano vandalizzati, interi reparti svuotati con malagrazia, giù tutte le bottiglie di whisky da vero cowboy, via tutte le repliche di
Dallas dalle emittenti canadesi, fuori il succo d’arancia in taniche da 20 litri che vediamo trangugiare a canna nei film, e naturalmente annientate tutte le confezioni di burro d’arachidi, alimento essenziale per la colazione da campioni di un vero american boy.
All’improvviso sembrava di assistere al capodanno italiano degli anni ’70, quando camminavi per le strade e rischiavi di diventare parte dell’asfalto sotto il peso di un elettrodomestico gettato da una
finestra, anno nuovo frigo nuovo!
I robivecchi passavano coi loro carretti, è arrivato l’arrotino e l’ombrellaio – smaltimento prodotti USA e cucine a gasseee.
Trump non prese bene quella reazione e rilanciò che quasi quasi stava pensando di annettersi il Canada, così i canadesi risposero eleggendo come primo ministro Mark Carney, il più a sinistra che hanno trovato in quel momento, giusto per rendere chiaro il messaggio: giù le mani, faccia di mulo.
Si chiama negoziare: tu mi sventoli i tuoi dazi e io ti indico, con dovizia di particolari, dove ritengo sia più utile che tu te li inserisca, con cautela e vasellina.
Tutto ciò non funziona con l’Europa, dove diventa un “pensavo a imporre un po’ di dazi”,
“ah, ok”,
“ma forse li aumenterei pure un po’”,
“ah, ok”,
“ma poi sto Parmigiano mi fa venire i pedicelli sul sedere, meglio il parmisan nostro, più leggero”,
“ah, ok”,
“col vino vostro ci cuciniamo la carne, a tavola beviamo californiano: dazi pure sul Brunello, per non parlare del fatto che Montalcino mi sta sul culo perché mi ricorda qualcosa che ha a che fare con la scienza, roba che le destre non digeriscono”,
“ah, ok”.
And so on, diciamo.
Noi italiani siamo amicissimi di Trump e non ci andrebbe proprio di perdere quella capacità di influenzare le politiche americane che tutto il mondo ci riconosce, un po’ come quando il caprone della classe pretende che tu gli faccia i compiti per casa, altrimenti “non ti è più amico” e comunque ti aspetta fuori dalla scuola per prenderti a sberle. Un’amicizia così, basata sulla reciprocità.
A proposito di amici, Musk ha annunciato che sta per lasciare l’amministrazione Trump con un certo anticipo sui tempi stabiliti, decisione che ci coglie tutti di sorpresa. Elon era il “first Buddy” di Trump, praticamente il delfino designato, l’Angelino Alfano d’America, poi ha letto la legge di bilancio, ha capito che le sue aziende rischiavano di andare in vacca e ha sentenziato: «penso che una legge possa essere fantastica o bella. Ma non so se possa essere entrambe le cose», traduco “ma che cazz????”
Insomma, bella sta legge di bilancio ma non ci vivrei. Eppure, quando Musk ha riempito di soldi il comitato elettorale del taco e ha dedicato mesi al lavaggio del cervello degli elettori su X (che si legge
ex, brutto segno), sembrava entusiasta delle ideone partorite dalla mente brillante dell’amico statista.
Poi, una mattina ti svegli, esci di casa in accappatoio e prendi il quotidiano che un ragazzino in bicicletta ha lanciato nel tuo giardino, ti appresti a fare colazione con un bel tazzone di acqua spruzzata di caffè, leggi le barzellette nell’ultima pagina, le previsioni meteo, l’andamento della Borsa, Tesla in picchiata… O cazzissimo!
Torni indietro, barzellette, meteo, Borsa, Tesla perde ancora? Tutte cose che noi italiani conosciamo perfettamente. Arriva il miliardario, scende in campo dichiarando di volere il bene della nazione, lo
anteporrebbe persino al benessere delle proprie aziende, e fa già ridere così, ma il bello arriva quando il popolo ci crede: ve lo giuro, succede questo. Il pubblico elettorale dice “questo tizio è talmente
bravo a far soldi che indubbiamente non potrà che portare prosperità alla nazione, inoltre non favorirà affatto la fascia più abbiente alla quale appartiene, anzi, senza meno farà leggi che sosterranno i cittadini più deboli”. Il popolo si fida di un imprenditore, lo vota, si cala le braghe, dice “fa di me ciò che vuoi,
tu che sai cosa è meglio per me”. Funziona sempre. Ogni volta. Il gioco va avanti finché un’azienda di famiglia non si fa la bua e allora niente amici, mi spiace, non posso restare, e poi i nemici, i tranelli, i
giochi sporchi, me lo diceva mamma di non fare il politico che i comunisti sono cattivi, repertorio classico, tutto già visto.
E comunque, ripeto: funziona sempre. Quindi sì, l’idea di Musk che vede le sue Tesla protagoniste di un deciso boicottaggio, in Europa le vendite sono quasi dimezzate, quindi decide di mollare una posizione che gli permetteva di ottenere favori per quelle stesse aziende, mi fa sorridere perché è tutta roba che ho già visto, ma mi fa anche rabbrividire. Perché è tutta roba che ho già visto.

©Ale Ortica

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