I remigranti

Tutto ciò che leggo infiamma la mia fantasia, che si tratti di un romanzo o di un articolo di politica. Sbagliano infatti coloro i quali considerano quest’ultimo argomento tedioso e indigesto, si vantano
addirittura di adoperarsi per mantenere una costante distanza con esso, non leggono quotidiani, non si interessano a leggi e decreti, per carità! Di quelle cose non vogliono saper più nulla perché
l’essenziale è invisibile agli occhi e si trova esattamente nel centro dell’immensità del cazzo che gliene frega dei politici che son tutti birboni e nessuno di loro ha a cuore le sorti di Giacomino e del suo
banchetto di ortofrutta.
A Giacomo I, imperatore di tutte le susine, suggerirei invece di cominciare la giornata con la lettura dell’ANSA, approfondendo con particolare golosità gli argomenti che riguardano proprio la politica
interna italiana.
È domenica mattina e con una serena disposizione di spirito mi immergo nella lettura dei fatti principali della settimana, con la calma e il tempo che la giornata festiva mi concede. Sprofondo con estatico piacere nel racconto che Rai News propone in merito a una squisita iniziativa svoltasi, a mia insaputa, il 17 maggio a Gallarate, la terza città più popolosa della provincia di Varese, a 5 km dall’aeroporto di Malpensa, famosa per l’Amaretto di Saronno e l’azienda Lazzaroni. Scopro il Remigration Summit: un nome che ispira serietà, ti intimidisce quasi, perché non sai se leggerlo all’inglese o in latino. Da curiosa ignorante in cerca di redenzione, compio la mitica azione del googlaggio e scopro che remigration è
traducibile dall’inglese con “remigrazione”, che bella parola, un suono che gratta, evoca una superficie ispida, stuzzica in qualche modo, vi pare? La curiosa ignorante di cui sopra apre il sito Treccani per meglio riempire le lacune legate al nome dell’iniziativa e trova la seguente definizione di remigrazione: “Eufemismo per ritorno forzato di persone immigrate nel loro Paese d’origine”, quindi mi immergo nelle immagini di cose ottenute con la forza, di soprusi, imposizioni, stivaloni, passo del qua-qua con strozzamento di un’oca, un – due – queeeekkk, mi accorgo che la mia fantasia sta già volando e sono solo a metà del titolo. Proseguo con la lettura: “a Gallarate l’evento divisivo. Scontri in piazza a Milano”. Già
perplessa dall’ubicazione di due eventi che sembrano legati ma si svolgono in posti diversi, mi informo meglio sul luogo del raduno e sui nomi di spicco presenti, che però, in realtà sono assenti e ci
arriveremo tra poco.
Innanzitutto l’evento era a pagamento, come un concerto o una consulenza esterna di un Ministro della Repubblica, quindi se fossi stata interessata avrei dovuto acquistare un biglietto, e non vivendo
a Gallarate avrei pure dovuto prenotare un albergo. Avrei usato tutta la mattina di un bel sabato rilassante per prepararmi e vestirmi da cocktail perché la discussione sullo spostamento forzato di esseri
umani si sarebbe svolta alle 14.30 in un teatro: Il Teatro Condominio di Gallarate, capienza 647, biglietti venduti 200, possibilità di allungare le gambe garantita.
Eccitata dalla maestosità dell’evento mi informo sulle personalità della politica, gli attori, i cantanti, gli esponenti della Gallarate da bere che avrei potuto incontrare se avessi partecipato. Leggo subito
il nome di spicco: Vannacci, scrittore e militare, nonché sosia di un presidente algerino. Sono già al settimo cielo, ma da tale distanza cado immediatamente, ferendomi non poco, quando apprendo che
l’idolo delle masse non è stato presente e neanche in collegamento, bensì ha mandato un semplice video registrato per dire scusate, oggi ho il tressette col mio gruppo di suprematisti algerini, ma sono con
voi col cuoooore, perché il mio cuore è dei miei fucili e subito dopo vostro. Delusione, amarezza. Continuo a leggere, ci sarà pur stato un corrispettivo sovranista di George Clooney, un Pino, un
Insegno, un capo di Stato, un politico di spicco, ah sì, leggo il nome di Rasmus Paludan, finalmente uno famoso, ma no, è stato espulso a Malpensa appena atterrato, bruciando il record del Cugino di
Campagna squalificato dall’Isola dei famosi dopo aver bestemmiato al tocco del primo granello di sabbia dell’Honduras.
Leggo le dichiarazioni del Ministro Piantedosi che benedicono il dialogo e l’espressione di posizioni diverse per addivenire a soluzioni ottimali che rispondano a problemi complessi, o così mi
pare di interpretare quel suo “in democrazia c’è bisogno di tutti i contributi e di tutte le componenti rispetto a fenomeni così complessi”, concetto ottimamente concretizzato per altro col decreto sicurezza che interpreta come reato persino le condotte di resistenza passiva. Il dialogo prima di tutto. Ma quindi c’è stato Piantedosi? Almeno uno famoso! La mia fantasia riprende quota e subito si infrange contro il muro della dura realtà: si trovava a Napoli a un incontro di “Noi Moderati”, poi aveva judo, anche se il
suo cuore era vicino ai 200 paganti del Teatro Condominio.
Considerate anche che i presenti avevano dovuto superare una prova fedeltà, infatti, la stessa mattina di sabato, alle 6.00 erano partite delle mail che avvisavano i paganti di presentarsi non più all’ora dello spritzino ma alle 9.00 di quello stesso giorno, dunque il summit si era trasformato in un allegro reality game, una cosa tipo “Prova a prendermi” e lo avrei trovato delizioso, se fosse stato gratuito. Vi confesso che al pensiero di trovarmi sola, alle 14.30 in un teatro comunale dopo aver speso 49 euro per un biglietto da povera, oppure 250 euro per un “biglietto premium” comprendente buffet di delizie gallaresi e un libro di Vannacci non firmato, beh mi sono un po’ innervosita. Immaginate il povero sovranista col
biglietto in tasca: si alza con calma, che cazzo è sabato! Magari deve ritirare la maschera da corvaccio del Ku Klux Klan in tintoria, passare in edicola prima che finiscano tutte le copie di Libero, un salto al bar, quattro ciance sui vaccini con gli amici, non gli viene mica in mente di scaricare la posta, uno c’ha pure una vita. Fatto sta che i soliti piddini noiosi e pure un po’ scontati, avevano organizzato un corteo di protesta a Milano (un po’ più capiente del teatro comunale di Gallarate) e non hanno riservato sorprese: l’orario rispettato, alti esponenti del partito presenti, mazzate, contusioni e cotillon da parte della Polizia, tutto come da programma.
Torno a volare e il mio spirito rinfrancato tocca vette di altissimo godimento quando l’articolo schiude innanzi alla mia fantasia di narratrice un’immagine di sublime bellezza: alla dichiarazione del PD in merito alla legittimità del corteo di protesta e alla necessità di vietare un incontro “di razzisti che inneggiano all’odio e all’intolleranza”, Salvini ha risposto “Non siamo mica in Unione Sovietica”. Di tanti esempi possibili, metafore, immagini evocative, di tutto un mondo di concetti, ricordi, esperienze accumulate in
cinquant’anni di vita a cui poter attingere, lui che fa? Mi riciccia l’Unione Sovietica, solleticandomi prepotentemente l’immaginazione, quella ribelle, infida e dispettosa parte di me che subito mi proietta davanti agli occhi l’immagine del Ministro con uno strano giaccone pieno di sponsor posizionati come per dare l’idea di medaglie al valore. Lui tronfio, soddisfatto di sé come un bimbetto che ha colpito la maestra lanciando una pallina di carta con la cerbottana e quella, incazzata come un cliente Dazn durante
l’ennesimo disservizio, non riesce a individuare il piccolo insolente.
Quel Salvini che nel 2022 con aria di importanza si presenta a Przemysl, cittadina della Polonia al confine con l’Ucraina, per manifestare il suo desiderio di pace, come una Miss Witchita che abbia appena ricevuto la sua coroncina in attesa di presenziare all’apertura del nuovo minimarket. Gli occhi increduli, lo sguardo
che si fa piombo e sprofonda a terra mentre il sindaco Wojciech Bakun gli si avvicina brandendo una maglietta sporca dell’immagine di Putin, la scritta “armata russa”: proprio quella indossata da Salvini
nel 2017 sulla piazza Rossa. Bakun prende la parola e gli strappa dal cuore la voglia di vivere: Salvi’ “ho una cosa che vorrei consegnarle. Andiamo insieme al confine con questo regalo per far vedere a tutti cosa sta facendo il suo amico Putin al popolo ucraino. Io non la ricevo”.
Basta così poco per tornare a sorridere.

©Ale Ortica

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