CANYON DIABLO 1883
Anche il fiore più grande,
cadendo,
non fa rumore.
(C. Cazzaniga, Haiku)
Nel giugno del 1882 i binari della Atlantic and Pacific Railroad arrivarono a Canyon Diablo, Arizona. Un ultimo grande ostacolo da superare prima del trionfale ingresso a Flagstaff, una ventina di miglia più a ovest. Il ponte che avrebbe scavalcato il Canyon era stato prefabbricato prima per risparmiare tempo, ed era arrivato con grande puntualità, avendo sfruttato la stessa ferrovia. Ma c’era stato un problema: era corto. I genieri avevano preso male le misure e il risultato fu che la strada ferrata si era interrotta lì.
Per sei mesi i treni fecero capolinea a Canyon Diablo, nel bel mezzo del nulla.
Qualche giorno dopo la consegna del ponte sbagliato, qualche furbo imprenditore fece costruire una stazione di posta con alcune diligenze che avrebbero accompagnato i viaggiatori sino a Flagstaff, e ritorno. Lì accanto, quindi, sorse un Saloon con camere per chi doveva attendere, e successivamente le case degli operai addetti alla costruzione del ponte. Poi un Bazar, un secondo Saloon, altre case, una stalla per i cavalli, un fabbro con fucina, un falegname. In due mesi e mezzo di lavoro ecco una cittadina di duemila abitanti compresa di bordello, casinò e persino una sala da ballo, tutto aperto ventiquattro ore al giorno. Da non credersi.
E mentre immigrati italiani scavavano pietre dal vicino bacino di Kaibab e le sagomavano per rifare i pilastri sbagliati del ponte, la tratta Flagstaff – Canyon Diablo diventava assai trafficata. Passeggeri danarosi, investitori, giocatori d’azzardo e truffatori di ogni razza e colore si davano appuntamento in quel luogo. Come conseguenza, anche ladri e rapinatori non aspettarono molto a farsi vivi.
Le rapine alle diligenze e ai convogli con i rifornimenti avvenivano con cadenza quotidiana, considerando il fatto che nella cittadina a nessuno era venuto in mente di nominare né un’autorità né uno sceriffo. Dopo qualche mese di totale anarchia e di aumento incontrollato della delinquenza finalmente venne assoldato il primo sceriffo. Gli misero la stella alle tre del pomeriggio, e all’ora di cena era già sottoterra, con tanto di lapide. Il cimitero di Canyon Diablo aveva inaugurato così la sua prima croce.
In quei giorni Jesse Bozeman era di ritorno dal solito giro sulla sua pista, tra Indian Wells e Flagstaff, ed era stato sorpreso da un gruppo di adolescenti Hopi fuori di testa vicino a Leupp e aveva messo al galoppo il suo cavallo e puntato il muso a sud verso Canyon Diablo. I ragazzini pellerossa avevano desistito nell’inseguimento quasi subito, ma lui non avevo potuto fare altro che continuare ad allontanarsi da quelle emerite teste di cazzo.
Dopo otto miglia sotto il sole era arrivato alla ferrovia che aveva preso a seguire verso ovest, finché era giunto in paese ormai al tramonto. Il cavallo era sfinito e aveva bisogno di biada, acqua riposo e una bella strigliata. Lasciatolo alla stalla assieme a mille raccomandazioni, si era diretto verso uno dei Saloon da cui uscivano musica e risate. L’atmosfera calda e acre di fumo l’aveva accolto.
Birra. Dal profumo sembra stufato, ne avete? Il migliore da qui a Flagstaff. Ci credo, non c’è nient’altro da qui a Flagstaff. Risero.
Dopo cena, mentre si godeva la sigaretta della sera seduto sulla panca fuori dal Saloon sentì tre cavalli al galoppo. Quando arrivano così portano solo guai. Infatti. Hanno assaltato la diligenza, hanno rubato la cassetta delle paghe settimanali degli operai. Bastardi. Chi è stato? Sempre lui, Shaw. John Shaw. Maledetto bandito. È ora di farla finita con lui. Chi viene con me? Andiamo!
Una posse, ovvero un branco di idioti alcolizzati stravolti dal vizio che decidono di farsi giustizia da soli. Sarebbero stati in giro per qualche ora di notte senza trovare nulla e poi infreddoliti e assonnati avrebbero sparato a qualche fantasma che sarebbe regolarmente sfuggito alle loro attenzioni. Patetici.
Jesse sapeva dove si nascondeva John Shaw. Aveva assistito da lontano a una delle sue molte rapine al treno. Li aveva visti arrivare da sud, e c’era solo un luogo che poteva offrire riparo e che non fosse in territorio Navajo, Hopi o Apache, ed era il grande cratere. Ci era passato a cavallo e aveva visto le baracche. Aveva riflettuto sil fatto che quel disgraziato valeva duecento dollari di taglia, e che sarebbe stato facile guadagnarseli, visto che avrebbero pagato anche consegnandolo morto. Però, poi, si era convinto che non ne valeva la pena. Probabilmente ciascuno di loro aveva le sue buone ragioni per scegliere quella vita. O così gli era sembrato. Aveva girato il cavallo, e si era messo sulla pista che portava ai pozzi a valle del Long Lake, dove si erano incrociati. Shaw era di ritorno da qualche scorribanda insieme a William Evans, il suo inseparabile tirapiedi. Aveva uno Sharps in mano, un’affare che avrebbe potuto aprire un buco largo come un arancia nel petto di Jesse. Si erano guardati e riconosciuti, salutati con un cenno, e poi andati ognuno per la loro strada. Quel John era alto e biondo, con un viso da ragazzino impertinente. Un uomo vale duecento dollari?
No.
Spense l’ultima sigaretta e andò a dormire sulla paglia, assieme al cavallo.
L’indomani mattina, mentre i giustizieri della notte russavano allegramente, Jesse trottava per la Hell Street in direzione est. Un gruppo di operai senza stipendio stava litigando furiosamente con un malcapitato dirigente delle ferrovie e il resto della città dormiva. Era già stato troppo tempo in quel disastro di boom-town. Voleva tornare a Holbrook e poi procedere con calma verso Fort Wingate alla ricerca di altri Conestoga da accompagnare verso ovest sulla sua pista. Altri idioti a cui fare da balia.
© Luca Bonisoli, 2017