SAN PEDRO 1871
Il peso si porta in due
come i binari un treno,
che non s’incontrano mai.
(Eulalia La Bianca)
Bevi questo. È amaro ma scaccia gli spiriti cattivi.
Sulla pista che a nord di Tucson portava a Holbrook, a sessanta miglia dal bacino del Tonto River, Jesse dovette fermarsi. La testa gli scoppiava, aveva freddo e tremava anche se la temperatura estiva in quelle zone superava i trenta gradi. Stava male. Legò il cavallo a un vecchio albero rinsecchito e si sedette per terra cercando riparo dal sole all’ombra di un grosso masso. Un sonno malato lo prese e si addormentò. Non si rese conto del tempo che passava, non si accorse di nulla, né dell’arrivo di due cavalli, né delle parole Aravaipa che i due ragazzi si scambiarono davanti a lui. Si svegliò solo quando gli diedero un calcio.
Si guardarono in silenzio. Ciascuno di loro aveva uno Sharps in mano. Pensò fosse giunta la sua ora. La Colt era chiusa nella sella assieme al fucile. Era stato un idiota e ora ne avrebbe pagato le conseguenze. Sospirò pesantemente e si sdraiò supino. Se doveva morire almeno sarebbe stato comodo. I due ragazzi si dissero qualcosa nella loro lingua. Il più piccolo andò a slegare il cavallo di Jesse e lo portò con sé. Salì sul suo pezzato e si allontanò al passo. L’altro ragazzo lo seguì subito dopo.
Ladri di cavalli, maledetti…
Jesse avrebbe voluto lasciarsi andare al sonno ma la nausea aveva preso di nuovo il sopravvento. Si rimise seduto con gli occhi chiusi cercando di resistere. Il sole era alto, e il mezzogiorno vicino. La bocca riarsa non gli dava tregua. Non ricordava di essere mai stato peggio in vita sua, e aveva la consapevolezza di essere senza cavallo, acqua e armi e sicuramente osservato da qualche Apache.
Sole. Nausea. Caldo. Brividi. Oscenità. Insetti. Maledizione sto morendo. Quando passa? Non riesco a capire…
Ch’oondé. Bevi questo. Un vecchio indiano era comparso dal nulla. Non se n’era accorto. Chi sei vecchio? Bevi. Cos’è? Medicina. Chi sei? Mangas, un vecchio che parla alla luna. Sto male. I miei nipoti ti hanno visto. Ah, quelli che mi hanno rubato il cavallo. Il vecchio scosse la testa ma rimase in silenzio mentre gli porgeva di nuovo l’infuso. Bevi.
Un conato improvviso lo costrinse a vomitare. Oh cazzo, ma cosa mi hai dato. Pulisci il tuo corpo, poi pulirai la mente. Oddio. Ricominciò a star male, e andò avanti così tanto che il sonno, come la morte, s’intrecciò su di lui confondendolo a tal punto che si arrese a ciò che gli stava accadendo. E così ora dopo ora tra il sonno febbricitante e il vomito trascorse tutto il pomeriggio.
Quando si riebbe era ormai quasi sera.
Jesse rimaneva seduto nonostante i dolorosi crampi allo stomaco. Cercò d’istinto il suo fucile e la pistola con la mano alla cintura ma si accorse di non avere nemmeno i pantaloni. Le tue armi sono là, un dito ossuto indicò i suoi nipoti, accovacciati e indaffarati in qualche attività che non riusciva a distinguere. Non sto bene. Bevi. Per l’amor di Dio mai più, basta. Il vecchio sorrise. È acqua, non temere. Sei vivo, e guarirai. Ti ho tolto il veleno.
Jesse si fece attento.
Quale veleno? Quello che hai bevuto ieri ai pozzi di San Pedro. Era acqua avvelenata? Sì. Il fuoco cominciò a crepitare alla brezza che seguiva il tramonto. Devi riposare ora. Ho sete. È una buona cosa, ma ora no. Non aveva scelta. Lasciò che le mani ossute lo coprissero con una pelle di bisonte e si abbandonò al sonno.
Qualche mese prima a Tucson si era festeggiato il massacro di Camp Grant. Sessanta miglia di aridità separavano Jesse dai Saloon dove le pagine dell’Arizona Weekly Miner avevano incitato teste calde al soldo di signori della guerra. Lo sterminio è la nostra sola speranza. Le terre sono nostre. Aiutiamoci a sconfiggere i selvaggi e riportare la legge dei bianchi e di Dio in Arizona. Il Tenente Whitman aveva attraversato al passo i campi su cui giacevano centinaia di cadaveri mutilati. La maggior parte erano donne e bambini, i più lenti a fuggire, incapaci di difendersi. Gli uomini erano scappati verso i pozzi di San Pedro che erano stati precedentemente avvelenati da una banda di O’odham, nemici giurati degli Aravaipa e assoldati dai bianchi.
Il Tenente Whitman fece ammucchiare i cadaveri e li bruciò nel tentativo di nascondere il massacro. I partecipanti fecero giuramento solenne di non diffondere l’accaduto. Gli Aravaipa uccisi avevano stretto un patto con lo stesso Tenente mesi prima. Avrebbero dovuto coltivare i campi a mais e fieno abbandonando qualsiasi violenza nei confronti dei coloni. Whitman aveva sottoscritto l’accordo.
Ma una settimana dopo il massacro un uomo d’affari di Tucson commise l’errore di scriverne al Commissario per gli Affari Indiani. Così, per un caso, cominciarono le indagini. I pozzi rimasero avvelenati, perché nessuno degli O’odham l’aveva detto, visto che nessuno gliel’aveva chiesto.
Quando Jesse si svegliò il mattino successivo, sentì che il peggio era passato. Il fuoco era spento e la pelle di bisonte lo riscaldava piacevolmente. Il suo cavallo era legato per la briglia a un ramo secco dell’albero morto. La sella era al suo fianco, con il fucile e il cinturone. I suoi vestiti erano stati lavati ed erano appesi ad asciugare. Accanto a sé aveva una zucca e acqua fresca. Ma era solo. Mangas e i suoi nipoti erano andati via.
A metà mattina si era messo in sella, e al piccolo trotto aveva diretto il suo baio verso la pista per Holbrook. Lungo il creek del Rio di San Pedro alzò gli occhi verso le alture lontane dove tre uomini si stagliavano contro il cielo. Uno alzò la mano, piccolissima. Jesse fermò il cavallo e alzò il braccio. Lo tenne così finché non scomparvero dietro la cresta.
Nell’ottobre dello stesso anno, mentre i temporali di fine estate bagnavano con piogge torrenziali mandrie e vaccari, e Jesse arrancava nel fango all’oscuro degli eventi del mondo cercando di attraversare pianure ostili assieme alle bestie e a compagni silenziosi, a Tucson il tribunale portò alla sbarra cento assalitori di Camp Grant, accusati di almeno centootto omicidi tra donne e bambini.
Dopo cinque giorni di dibattito la giuria ci mise solo diciannove minuti per giudicarli tutti innocenti.
© Luca Bonisoli, 2018