Discorso d’insediamento

Abitiamo un mondo totalmente personalizzabile. Possiamo scegliere chi siamo componendo un avatar che si sparerà le pose sui social al posto nostro, poi un amico ti fa notare che il tuo personal pupazzo
è pieno di capelli mentre ieri ti ha visto in palestra con una pista di pattinaggio al centro della testa?

E tu digli: quello non era il vero me stesso. Puoi scegliere il Presidente della Repubblica anche se in Italia
non viene eletto dai cittadini, puoi dire “Mattarella non è il mio presidente” perché “io non l’ho votato”, che è sempre un’ottima motivazione. Puoi intestarti un Presidente del Consiglio anche se la nostra legge elettorale ci consente di votare solo il partito, del resto hai selezionato “Fratelli Oggi – Gigiona Presidente” e Gigiona è diventata presidente, mica Orietta Berti. Tutto torna.
La cosa più bella è poter scegliere il proprio papa attraverso un listino di personalità di pregio per tutti i gusti: quello che si è ritirato però elargisce consigli a quello in carica, il quale forse sta meditando
di lasciare a favore di un suo cugino laterale. C’è quello di destra e quello gesuita, quello che fa gli scherzi da prete e quello che senza la stola di volpe delle Falkland non si affaccia neanche per far arieggiare la stanza. Oggi tutti hanno il proprio papa da abbinare al partito del cuore e alle politiche di tendenza. Basta sceglierne uno, operazione che quasi tutti possono compiere.
«Io ci provo anche quest’anno ma non posso garantire nulla, lo sai» disse spazientito, come se ribadire l’ovvio avesse potuto cambiare l’umore del vecchio. Quello non mollava mai, era tenace, piuttosto
invadente, uno di quelli che per aiutarti si farebbe mettere in croce, però pretendeva molto dai suoi collaboratori.

Lo squadrò con il solito atteggiamento inquisitorio e lo rimise in riga con uno schiocco delle labbra, le sopracciglia ispide e candide si unirono coprendo gli occhi piccoli, dal colore indefinibile.
Il giovane riprese a spiegare, «l’ultima volta avevo parlato con tutti e naturalmente avevo promosso il nostro uomo nei modi che avevamo concordato. Avevo creato diecimila account sui social per fare pressione, tutti distribuiti tra Facebook, Instagram e Twitter, mi ero persino proposto come amico speciale e confidenziale su una piattaforma di incontri e non ti voglio neanche dire le oscenità che
mi hanno inviato certi buontemponi infernali, che il cielo li fulmini…»
Fu il vecchio a fulminare lui, già terribilmente stufo di tutte quelle scuse. Era mai possibile che non ci fosse una cosa, una sola, che si potesse affidare a qualcun altro con serenità? Quella strampalata
idea del “delegare fa bene alla psiche” non lo aveva mai convinto ma era uno con la mentalità aperta, pronto ai cambiamenti e disponibile quando si trattava di incoraggiare e gratificare i sottoposti. Desiderava intensamente poter elogiare quel figlio, quell’anima affine che era parte di sé, bravo mio caro, hai svolto egregiamente il tuo compito. Del resto era già avvenuto in passato, si era potuto complimentare per diversi incarichi portati a termine nel miglior modo possibile, era sinceramente orgoglioso di lui, perché questa specifica mansione risultava così ostica?
«Chi abbiamo quest’anno?» chiese il vecchio con tono conciliante, come se stesse cambiando argomento.
«Il nostro uomo è… sarebbe davvero perfetto. È stato molto in strada, è uno che tocca piaghe vive, si muove tra i malati di Fentanil, non ha paura di incassare pugni.»
«E li sa dare?» chiese il vecchio con aria assente. L’altro temette di dover schivare una trappola, esitò qualche secondo e cercò di immaginare se ci fosse una formula giusta per elaborare il concetto,
poi optò per un semplice sì, eccome.
«Menomale, non mi piacciono quelli che temono di farsi saltare la pietruzza dall’anello. La metafora è uno strumento interessante, ma pericoloso, la gente non la comprende. Tu dici “porgi l’altra guancia” e quelli» fece un gesto con la mano come se stesse scacciando una mosca fastidiosa, «in sostanza, ecco, quelli non
capiscono un cazzo. Ma io dico, se vedi una creatura fragile, indifesa, che viene straziata da un energumeno, che fai? Rimproveri la vittima perché ha “abbaiato” al carnefice? Ma poi, che vuol dire
abbaiare? Che frase è? Me misero, che mestizia. Fammi sedere un attimo.» Certi pensieri lo rendevano sempre cupo e malinconico. Le sopracciglia lunghe e mobili si inarcarono improvvisamente a
indicare che il tempo della tristezza era finito, «dimmi figliolo, quali altre doti avrebbe questo nostro golden boy?»
«Dice quello che pensa», riprese l’altro con un tono trionfante, come se avesse segnato un punto decisivo.
«Me misero, ci siamo già passati ed è stato un disastro. Il punto è: cosa pensa, come pensa, quanto pensa? Come la mettiamo con la questione G?»
«Non si è mai posto un interrogativo in merito, non ci risulta abbia mai perso tempo a ragionare sulla faccenda, non… ah giusto, fammi cercare nel faldone, voglio essere preciso… ecco, ci risulta che abbia
commentato a voce alta “frociaggine – ma – questa – è – un’indecenza – dove l’ha letta questa cosa nel Vangelo”, testuali parole.»
Il vecchio ebbe un sussulto «le mie stesse parole, siamo sicuri che io non abbia inavvertitamente tuonato il mio pensiero talmente forte da averlo condizionato?»
«No, lo escludo, il dossier che ho preparato conferma che questo è proprio il suo punto di vista. Inoltre ha una posizione molto netta e inequivocabile sull’accoglienza dei migranti, la fratellanza, ero nudo
e mi avete vestito, e quindi direi che…»
«Aspetta, si fa presto a citare e a blandire i santi numi del cielo, ma chi dice che poi non ce lo ritroviamo insieme agli arruffapopolo nelle convention?»
Il giovane sapeva che l’argomento stava scivolando su un terreno periglioso, come spesso accadeva quando il vecchio ripensava a quei boriosi officianti e politicanti sempre pronti a denigrarlo per come
gestiva i suoi affari. Deliziose queste creazioni, magnifiche, poesia pura, e però quella cosa ti è venuta male, non per criticare, chi sono io per giudicare il tuo mestiere ma a dire il vero quella cosa l’avrei
fatta meglio, quell’altra non è venuta come le altre, casomai ci penso io ad aggiustare tutto. Belle canaglie quelle, le serpi in seno.
Il vecchio riteneva che ogni sua creazione fosse un pezzo unico, artigianato di gran pregio e inarrivabile qualità, poi arrivava il sommelier delle identità sessuali, la vestale della morale altrui, il rappresentante politico di tutti gli stupratori di testi sacri e lo insultava con l’ennesima analisi del testo blasfema. Tutto bello, tutto fantastico, ma io quel pezzo lo avrei creato così e cosà, è uscito male, di certo è un errore, sicuramente non era intenzione del vecchio farlo uscire in quel modo, ma bastava che l’aberrazione si
astenesse dal fare questo e quello, un po’ di riabilitazione, psicoterapia, tutto si poteva rimettere a posto.
Il vecchio era visibilmente agitato, stringeva i pugni con le braccia tese sui fianchi. Ora dava le spalle al giovane, riprese a parlare sibilando «non abbiamo ancora trovato un altro brav’uomo che intenda rappresentare i nostri interessi e testimoniare i valori veri dell’azienda, che poi sarei io – me – medesimo – in persona? Dove sono tutti i miei esemplari migliori, santo cielo?»
«Per strada.»
«Tutti?»
«Non riescono a penetrare attraverso le maglie avvelenate dai capireparto. I gerarchi sono in piena autogestione, sarebbe più facile sgomberare la sede di Casapound.»
«Non mi dire?»
«Te lo assicuro.»
Il vecchio divenne nostalgico, cominciò a pensare all’uomo giusto, quello che incarnava tutti i principi di Verità e amore fraterno nella quale l’azienda si riconosceva, nessun altro candidato aveva mai
raggiunto quel livello di perfezione agli occhi del capo. Il giovane seguiva ogni pensiero del suo interlocutore, avrebbero potuto discutere senza mai aprir bocca, ma a loro piaceva cullarsi col suono
delle parole.

«Papà, mi dispiace, non sono mai riuscito in questa impresa, è troppo per me. Perdonami.»
«Ragazzo, di cosa stai blaterando? Troppo per te, dici. Dunque anche tu metti in dubbio il mio operato? Ho mai affidato a qualcuno un compito che non fosse in grado di svolgere? “È troppo per me”
un cazzo. Prima o poi ce la faremo. Imbroglieremo e brigheremo come l’ultimo dei politicanti populisti, lo proteggeremo dalla falsa dottrina, intorpidiremo le acque che poi dividerò, un’altra volta, per
regalargli un’entrata trionfale, gli ispireremo un discorso d’insediamento degno di tutto il creato, scriveremo così il Nuovissimo Testamento. L’ultimo, speriamo.»
«Papà devi spiegarmi cosa fare, io ispiro, sussurro, mi paleso in sogno, ultimamente mi presento in carne e ossa, li prendo a calci nel culo, li minaccio per giunta. Uno ha cercato di esorcizzarmi, un altro
voleva vendermi delle indulgenze, un cardinale ha persino manifestato una certa simpatia per i miei metodi bruschi, ho temuto volesse farmi delle controproposte imbarazzanti. “È lo spirito santo
che ispira la scelta del papa”, dicono, poi c’è il presidente di uno stato che si presenta al funerale del papa precedente e coglie l’occasione per lasciare consistenti donazioni al Vaticano, Gigiona che sussurra alle orecchie di quei fetenti sempre recettivi quando a ispirarli è il partito che governa, e poi il totonomine, le dirette tv, gli uccelletti sul comignolo e tutte le anime de…»
«Basta ragazzo, ho il panorama» lo interruppe il vecchio alzando una mano col palmo rivolto verso l’interlocutore. Sospirò, lo sguardo nuovamente malinconico, quasi disperato, gli occhi di un bambino
che ha perso i genitori in un supermercato, «lui dov’è? Chiamalo ragazzo, per favore.»
«Scusami per prima, vado subito papà.»
Si presentò colui il quale aveva incarnato tutte le speranze del vecchio, l’unico che riusciva a sollevargli l’umore in queste tristi circostanze. Il vecchio ringiovanì in un attimo, gli occhi divennero grandi, verdi, blu, e poi di tutti i colori, la voce squillante e la schiena passò dall’essere curva e rassegnata a dritta, spavalda, sprizzava energia.

«Giacinto, mio caro, consolazione e delizia dei miei occhi»,
«Padre, che piacere».
Si abbracciarono con affetto e avvolto in quella stretta il vecchio si sentì rinfrancato, in pace, orgoglioso di sé stesso e pronto ad essere indulgente col resto del creato.
«Giacinto, ci risiamo, come sempre non sono stato ascoltato, ne piazzeranno un altro che soddisferà le loro esigenze e non i miei desideri. Sono sconfortato. Sai di cosa ho bisogno in queste occasioni, vero? Rifammelo, per favore, recitami il tuo discorso da papa».
Giacinto era molto divertito da quella richiesta e lusingato dall’effetto calmante che aveva sul padre. Era un gioco, uno scherzo da prete, ma lo consolava come leggere un libro, la sospensione della realtà lo rinfrancava, lo rendeva felice.
«Certo padre, come sai mi sarei chiamato Marco I», questo incipit non mancava mai di strappare una risata squillante e irresistibile al vecchio che poi gli faceva segno di continuare. Giacinto impostò
una voce da tenore e cominciò a declamare, con un dito puntato su un pubblico immaginario, «tu: hai mentito, fuori. Tu: hai brigato con i politici più sporchi e ignobili d’Italia, togliti la tonaca e
ringrazia che non ti scateno dietro le guardie svizzere. Tu: non hai capito nulla del cristianesimo, vai a studiare e torna quando sarai preparato. Tu: come ti sei permesso di non dare la comunione a un
divorziato? Piuttosto, riconosci i tuoi figli ed esci dalla menzogna…»
Il vecchio rideva felice, si batteva le mani sulle gambe e poi lo indicava sottolineando ogni passaggio di quel discorso d’insediamento, il più giusto, il più bello mai sentito.
«Poi, naturalmente, mi sarei rivolto alle telecamere e avrei annunciato le mie prime scomuniche ufficiali: tu, bofficione baciarosari, per i tuoi atti di blasfemia, per aver recitato il rosario sbeffeggiando Cristo in uno studio televisivo, sei scomunicato per direttissima. Voi: Gigioni fascisti col braccino alzato che inneggiate un massacratore guerrafondaio, che promulgate leggi razziste, che pagate stati canaglia per ammazzare, torturare e imprigionare migranti, scomunicati, tutti, con ignominia, siete vergognosi e
intollerabili. Voi: preti mangiapreti, che giudicate le persone a seconda dell’identità sessuale che il padre ha assegnato loro, nella sua infinita e indiscutibile saggezza…» a questo punto del discorso il
vecchio cominciava sempre a emettere gridolini compiaciuti, era la parte che amava di più, «via, scomunicati tutti e chiedete scusa, immeritevoli del vostro ruolo…»
Giacinto continuò a scomunicare diverse categorie di indegni, cartomanti, blasfemi, ignoranti, antiscienza e nemici del genere umano, dopodiché il vecchio, rinfrancato e sereno, lo strinse nuovamente tra le sue braccia,
«Marco I, che genio ho plasmato! Che splendido essere umano. Sei stato il mio candidato migliore. Riesci sempre a ricordarmi perché non devo perdere le speranze nell’umanità che ho creato.»
«Padre, che vuoi farci, del resto ci vuole davvero un carattere ottimista per credere che saresti riuscito a far diventare papa Pannella.»
©Ale Ortica

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