
Entrò in cucina con un vassoio molto largo appoggiato sugli
avambracci contenente una pesante torta sacher, due buste della
spesa parzialmente riempite di cibo e bevande che per questioni di
temperatura si temevano a vicenda, incastrate nel braccio destro, e
una borsa di finta pelle scrostata incastonata nell’ascella sinistra. La
porta venne sbatacchiata con un piede e restò appoggiata alla parete
per tema di venire maltrattata ulteriormente, lasciando entrare la
signora Silvia, quarantacinque anni, capelli legati in una coda
depressa e occhi rimpiccioliti dal vizio di mangiare il prossimo con
golosa curiosità.
Si fermò davanti al frigo e gli chiese di aprirsi. L’elettrodomestico
restò alquanto perplesso perché la sua padrona non era ben
posizionata sulla traiettoria dei delicati sensori integrati, eppure, esso
pensò, il tecnico glielo aveva spiegato dove dovesse stare per
iniziare un dialogo proficuo. La donna ripeté imperiosa l’ordine di
aprire un’anta e lui continuava a rispondere che no, proprio non
capiva, forse doveva scandire meglio, inserire il vocabolario in
spagnolo, avvicinarsi, allontanarsi, cristonare con più calma, ah una
bestemmia, quindi è una devota cattolica, il culto selezionato
durante l’installazione corrisponde, una cosa è fatta. Silenzio,
rumore, un frusciare di plastica e carta stropicciata, la signora Silvia
aveva appoggiato il vassoio sul piano cottura adiacente a Frigo,
lasciato cadere con dispettoso piacere le buste della spesa e
appoggiato con grazia la borsa sul tavolo. Successivamente si
sarebbe ricordata che quella borsa era un orrendo ricettacolo di
batteri e avrebbe maledetto l’elettrodomestico per averle fatto
perdere la testa invece di aiutarla. Riprese il vassoio posandolo
sull’avambraccio sinistro e trattenendo un’estremità con la mano
destra, quindi riprovò a impartire l’ordine di apertura con voce più
stentorea e rinnovata motivazione, convinta di dover ripristinare
l’ordine gerarchico nella sua cucina. Frigo schiuse il suo regno con
ritrovata accondiscendenza, in realtà era lieto di poter dare una
mano, il suo scopo e piacere era sentirsi utile. La donna si affacciò
all’interno dell’elettrodomestico e si accorse di aver commesso una
leggerezza: non aveva predisposto uno spazio adeguato per la sua
sacher, porcadiquellaediquestoeditutto. Alle sue spalle si udì un
fruscio leggerissimo e poi un movimento, qualcosa che le sembrò
fuori posto; il suo telefono gemette, poche note male assortite le
segnalarono che era arrivato un messaggio su WhatsApp,
maledettoildiavoloetuttifilistei. Restò in attesa.
«Non lo sai che le brutte parole sono frutto del demonio?»
«Vaffanculo tu, torna a cuccia.» Messaggio in arrivo su WhatsApp.
«Oh. Ciao Silvia.»
«Zitta. Adesso non posso, non vedi che ho da fare?»
La donna dava le spalle alla collaboratrice domestica e cercava una
soluzione al suo problema logistico, le braccia le dolevano per il
peso del vassoio e non c’era modo di sgomberare un
assembramento di cavolfiori (2), zucchine intere (8), carote (un kg),
due confezioni di spinaci già lavati e un pollo intero che le mostrava
il culo, beffardo.
«Chla cavava
ancora bene come padrona di casa. Scivolò persino in una
predisposizione di spirito benevola e accomodante, quindi, senza
neanche voltarsi disse alla sua collaboratrice «credo che potrai
aiutarmi a cucinare Cassia, cominciamo col pollo ripieno. Mi trovi la
ricetta che ho scelto ieri?»
Nessuna risposta.
La donna perse un po’ del buonumore ritrovato, sospirò
nuovamente coprendosi la bocca con le dita, era il suo gesto di
esasperazione, «ehi Cassia, sei viva?»
«Eccomi Silvia, sto molto bene, grazie.»
«Non ricordo più la ricetta per il pollo ripieno che ho scelto ieri, mi
aiuti a ritrovarla?»
Dal buio emerse una voce maschile, profonda, alla Barry White,
carica di indignazione e accuse sottintese che disse: «Silvia, che
accade? Il pollo lo abbiamo cucinato ieri sera, non rammenti? Tre
sovracosce, sei cosce e sei ali, con crosticina finale e interno
tenerissimo. Sei sicura di voler procedere con questa bizzarra
iniziativa?»
«Ma quella teglia era per la cena in famiglia, capisci? Questo pollo
ripieno è per la festa di compleanno di Franco. Stasera ci saranno
anche miei cognati e mia cugina Sabrina. È un’altra situazione.»
Forno rifletté per qualche istante, tre piccoli led lampeggiavano
sullo sportello come per mantenere attiva la sua concentrazione e
alla fine rispose che aveva compreso ma non era d’accordo, si
trattava comunque di un’alimentazione squilibrata, poi il pollo dove
lo aveva comprato? Silvia sapeva che in certe macellerie l’igiene è
molto trascurata e soprattutto quando l’animale viene venduto
intero possono insorgere curiose criticità? Ma certo, Forno nessuno
lo ascolta mai, apriti, chiuditi, fai la crosticina! Aveva assunto un
tono petulante passando da Barry White a Tiziano Ferro che non
guarderà mai più negli occhi la sua gelosia e tornerà l’indifferenza a
fargli compagnia, finché Cassia non ne ebbe piene le scatole: «basta
Forno, siamo davvero satolli dei tuoi isterismi. Silvia ha deciso di
preparare un pollo ripieno e io ho pronta la ricetta. Esegui dunque
l‘ordine che nel gergo dei ragazzi si traduce con: “stacce”».
Silvia fu soddisfatta dell’esito dell’alterco e ritenette opportuno
aggiungere solo una chiosa, per esser certa di avere l’ultima parola,
dopotutto era lei la padrona di casa: «Stacce e non rompere le palle,
Forno.» Messaggio in arrivo. La donna si passò una mano sulla tasca
posteriore dei pantaloni ma fu solo un gesto automatico, non aveva
alcuna intenzione di estrarre il cellulare, nulla era più importante
della cena di compleanno. Forno aprì uno spiraglio in segno di resa
e bofonchiò «non avete paura del colesterolo? Ottimo. Peggio per
voi». Frigo trovò la situazione divertente e fu pervaso da un
desiderio di partecipazione irresistibile, quindi chiese se i presenti
desiderassero ascoltare una “freddura” (l’autrice declina ogni
responsabilità per questa orribile battuta).
Forno era perso in un brodo primordiale di risentimento e vecchi
oli sfrigolanti a temperature inadeguate, bisbigliava cose sui suoi
settaggi e la saggezza degli algoritmi mentre i piccoli led
lampeggiavano nervosamente.
Cassia era concentratissima sulla ricetta del pollo ripieno e Silvia
stava cercando di fare mente locale per tema di aver dimenticato
qualche ingrediente, quando ecco il particolare che avrebbe potuto
decretare l’insuccesso totale della serata: aveva dimenticato la salvia!
«Cazzodimerdadicane, non ho comprato la salvia!» (blinblonblan
messaggio), “Silvia non ha la Salvia” urlò Frigo sbattendo lo
sportello come per darsi un colpo gioioso sulle gambe con le mani.
Cassia ne fu irritata «chiudi quelle ante, refrigeratore di cazzate»,
partì un doppio suono di messaggio ricevuto, come se ci fosse stata
l’eco, Forno era immerso nelle sue recriminazioni e borbottava di
sindacati e insulti sui social, ma lui era troppo buono per…
«Fatela finita tutti!» urlò Silvia trascinando le dita dalle guance
all’interno della bocca, come se volesse strapparsi la mandibola dal
viso. Scusa disse Frigo, hai ragione disse Cassia, Forno restò in un
silenzio passivo-aggressivo.
«Però, se posso permettermi, chiedo: perché invitare anche la cugina
Sabrina?»
Silvia lanciò un’occhiata di ghiaccio alla planetaria che se ne stava
immobile, con quel suo corpaccione ingombrante, sulla penisola che
partiva dalla colonna del forno. Cassia non comprese le parole
perché Impasta aveva un’amplificazione ridicola, circuiti made in
Tailandia, tecnologia nordcoreana, un attrezzo ridicolo comprato a
un prezzo esagerato. Tuttavia non le sfuggì il tono derisorio e ciò
non era ammissibile in una casa rispettabile. Quella frase alludeva a
un ben noto pettegolezzo casalingo che da anni stuzzicava morbose
discussioni elettrodomestiche. Visori e monitor avevano inquadrato
Franco e Sabrina in situazioni decontestualizzate che negli anni
erano state codificate attraverso un continuo scambio di dati
pettegoli, pacchetti di informazioni scambiati via Bluetooth,
ammiccamenti di led, lo stupido sportello di Forno che si apriva a
metà a esprimere goffo stupore. Decise di intervenire, si atteggiò a
maggiordomo e minacciò di spegnere l’ingombrante aggeggio se
avesse continuato a infastidire Silvia con opinioni non richieste, ma
la padrona di casa si avvicinò alla planetaria, ne accarezzò il panciuto
cestello e sussurrò «cosa hai da dire su mia cugina?»
«Chiedi a Stanca», rispose enigmatica.
«Ammasso di incrostazioni impossibili da lavare, sudicio
sottoprodotto di componentistica orientale, io non andrò in salotto
a interrogare la chaise longue quindi se hai qualcosa da blaterare
fallo subito o vai in modalità aereo. Ho un cazzo di pollo da
farcire.» Messaggio in arrivo. Silvia non se ne accorse nemmeno.
Cassia trovò un ottimo sostituto della salvia: OmniAroma, una
purea dall’aspetto malaticcio che lo spot aveva decantato come “il
gran sostitutore, sa di tutto”, tubetto verde militare con l’immagine
di un mezzo avocado irragionevolmente giallo, praticamente una
vulva itterica. Si trovava nello sportello di Frigo, come esso stesso
non mancò di segnalare, “ce l’abbiamo! ce l’abbiamo!”.
Le grandi manovre culinarie ebbero inizio e per tre ore nessuno
espresse opinioni che non avessero a che fare con la farcitura del
pennuto, Forno continuava a bofonchiare in sottofondo emettendo
lievi scariche elettriche, Impasta era stata esclusa dalle operazioni
per motivi puramente ideologici e fingeva di essere in carica. A ora
di pranzo la cucina era devastata, sporca, ricoperta da strati di unto,
aleggiava un odore dolciastro come se una legione di polli fosse
uscita dalla tomba per compiangere l’esemplare il cui culo era
appena stato oltraggiato da Silvia.
«Che casino qua dentro! Mamma, è esplosa una bomba di merda?»
Cassia si illuminò «ciao Filippo, è un piacere che tu sia a casa»,
«Ehi Cassia, che si dice?»
«Filippo, oggi hai accumulato venticinque infrazioni, mancano
cinque parolacce e non riceverai la paghetta settimanale»,
«’Cazzo dici? Sono appena arrivato…» (blinblonblan messaggio)
Silvia alzò lo sguardo sull’autopsia che sarebbe stata la cena di
compleanno del marito, si pulì una mano sui fianchi, estrasse il
telefonino e dopo aver esaminato la app di Cassia disse con aria
sorpresa: «eh sì tesoro, sei già quasi al limite. Come devo fare per
insegnarti che devi abbandonare questo linguaggio da cafone?»
«Ma guarda che sono arrivato adesso…»
«Non ho tempo per le tue solite giustificazioni, stasera ci sarà la
cena per la festa di papà quindi devo continuare a cucinare. Vai in
sala da pranzo, guarda un po’ di tv, esci da qua, ho da fare!»
Filippo lanciò un’occhiata ostile alla forma sferica appoggiata sul
forno e la salutò con irritazione, «grazie Cassia, sempre utilissima»,
«Grazie a te Filippo, è un piacere», rispose essa.
Silvia si sentì rilassata e piena di rinnovato entusiasmo, il pollo era
quasi pronto per la cottura, Forno si stava preriscaldando
nonostante il noioso ronzio recriminatorio, la salsa OmniAroma
aveva salvato la situazione e disponeva ancora di quattro ore per
ripulire la cucina, operazione che ancora nessun elettrodomestico
era in grado di fare autonomamente. Se ne rammaricò.
«Mamma! Scusa, hai invitato pure zia Sabrina stasera? È vero?»
Silvia avvertì uno spasmo nello stomaco e rispose dopo qualche
istante che sì, era ovvio, era sua cugina ma soprattutto una di
famiglia, erano unite come sorelle, zia Sabrina era stata persino
babysitter di Filippo, frequentava casa da sempre, perché non
avrebbe dovuto invitarla?
«Mamma, perché continui a invitarla? Ancora non ci sei arrivata?
Ma come cazzo si fa con te!» (messaggio)
Cassia blaterò qualcosa su turpiloquio, delinquenza giovanile e
paghette settimanali, Forno emise qualcosa che sembrava una risata,
anche se naturalmente era impossibile, Silvia si graffiò
inconsciamente le guance con le unghie artigliate al viso e urlò:
«Filippo, cosa urli? Dove sei?»
«Sono seduto sulla chaise longue».
©Ale Ortica