Still life [2] di Ygor Varieschi

© ph. I. Ivanov

LE LINEE IMPERFETTE

Un giorno, in un villaggio del Giappone, arrivò un uomo. Un viandante silenzioso, un gaijin. Aveva con sé solo uno zaino, che portava sulle spalle curvate da un peso invisibile, più grande di quello del suo bagaglio.
C’era una locanda nel villaggio, un ryokan. L’uomo prese una stanza e pagò in anticipo per una settimana. Scarabocchiò il suo nome straniero su un registro. Non disse nulla alla giovane donna che gestiva il ryokan, né la guardò in volto.
Ogni mattina all’alba usciva dalla locanda e camminava fino a sparire dalla vista. Tornava solo a sera inoltrata, cenava e sempre senza dire una parola saliva in camera.
La donna, che non aveva altri ospiti, guardava quell’uomo e le sembrava di vedere in lui qualcosa che lui stesso non vedeva. Sentì che, in qualche modo, doveva aiutarlo.
Un giorno gli diede una tazza diversa da quella che usava per fare colazione. La porcellana era segnata da venature irregolari, come fratture che erano state ricomposte. Le venature erano dorate, e donavano alla tazza una bellezza insolita, fatta di trame irregolari. L’uomo osservò la tazza, poi la posò sul tavolo. Non bevve. Ma pensò.
Il giorno dopo l’uomo vide la giovane donna intenta a ricomporre un grande vaso. I cocci erano disposti sul tavolo, e lei con pazienza li assemblava uno a uno.
L’uomo, per la prima volta, si fermò davanti a lei e la guardò negli occhi.
La donna gli sorrise. In un modo che aveva dimenticato essere stato il suo, un tempo.
«Ciò che è rotto non è inservibile. Si può riparare» disse lei. I suoi occhi si abbassarono sul vaso rotto, ricordandone la forma di una volta. «Le ferite non guariscono subito, la pelle ha bisogno di giorni per riformarsi attorno ai lembi lacerati. Le ossa necessitano di tempo per rinsaldarsi».
L’uomo sfiorò le nervature dorate dei pezzi assemblati. Alla donna sembrò che lui stesse vincendo una resistenza interiore. Poi prese un frammento, che le porse. Nei suoi occhi c’era il bisogno di un porto sicuro. Di una tregua da mille guerre.
Nei giorni a seguire l’uomo aiutò la donna a ricomporre il vaso finché il lavoro non fu ultimato. Le cicatrici dorate lo resero diverso, come un cuore spezzato da un amore finito, ma ancora vivente. Riunito dal tempo, dalla pazienza. Dalla costanza, dalla resistenza.
La donna guardò il vaso, poi l’uomo. E con un sorriso accolse, in quel luogo di malinconia che erano i suoi occhi, le prime luci di un’altra alba.

© Ygor Varieschi, 2018

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