Sé/dici [6] di Raffaele Rutigliano

SEI/16

Cosa è un romanzo? Cosa spinge a raccontare un evento, un aneddoto?
La letteratura importante è quella di un Io narrante che metta da parte l’ego spropositato e spropositante dello scrittore. Non è questo il luogo opportuno. Tutto ciò che si percepisce come narrante è la consapevolezza di immergersi in personaggi diversi da sé. Un contadino avrà l’eloquenza e l’estetica di un contadino, non vestirà i panni dello scrittore colto o finto tale.
I mezzi a disposizione sono la conoscenza dei vari strati culturali, o meglio, per chi non voglia intendere, la non-conoscenza. E’ un lavoro di scalpello, lasciando alla materia, quasi intatta, il colore dell’origine (della materia stessa): di ciò che si vede, si sente, si percepisce. Dobbiamo preservare l’essenzialità, non dobbiamo costruire sovrastrutture inappropriate o non dovute. In pratica, il linguaggio è modellato sull’occasionalità delle scene romanzate, non viceversa.
Ogni romanzo che eluda tali regole sarà da considerarsi non duraturo, legato solo alla genealogia di quei romanzi destinati esclusivamente a un mercato di ipocondriaci dell’ignoranza.
Diceva Marquez: Ogni Scrittore deve saper scrivere di qualunque cosa. Questo, Marquez, lo disse a un caro amico che una volta gli raccontò di robot.
Pronunciamoci, quindi, a favore non della tragedia letteraria nella quale siamo immersi, ma della consapevolezza che questa generazione è alquanto inadeguata, se non lontanissima, dal conoscere le mere fondamenta di un’opera letteraria.
Partiamo da un classico di Dostoevskij. Lasciamo da parte per un attimo il caro Manzoni con la sua opera filocattolica, che definerei un invito eucaristico. Il tempo è tiranno, recuperiamolo a tutti i costi prima che sia troppo tardi.

© Raffaele Rutigliano, 2014


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