Disegno di Bagar

LORAINE

Il primo ceffone la fa volare sulla poltrona con la stessa leggerezza di un foglio di giornale nel vento.
Si rannicchia su se stessa, le braccia a contenere le ginocchia contro il petto. Nella penombra della stanza lo guarda avanzare di alcuni passi, come un’onda lunga.
«Adesso mi ripeti dove lo hai incontrato, e me lo ripeti con calma.» Henry le si para davanti, immenso e invalicabile come le montagne d’inverno.
«Non ci pensare nemmeno a scappare. Non ci pensare nemmeno, o ti sbriciolo come un biscotto.»
«Va bene Henry» sussurra Loraine e prende fiato dopo essersi passata la lingua sulle labbra gonfie.
«La prima volta è stato due anni fa.» La sua voce assomiglia a un soffio di vento.
«Non ho sentito». Henry la colpisce di nuovo con violenza. Lei sa bene che l’ha sentita, eccome.
Loraine si schiaccia contro lo schienale della poltrona. Non urla, non piange. Si raccoglie ancora di più su se stessa, un mucchietto di ossa vestito di chifon nero nel nero della stanza.
«La prima volta è stato due anni fa» ripete, questa volta con tono deciso.
«Dove?»
«A quella festa di carnevale da Alain.»
Henry strizza gli occhi nello sforzo di ricordare.
«Non so come sia successo» continua Loraine. «Me lo sono ritrovato di fianco. Indossava un costume da sciacallo, aveva il viso coperto e ha cominciato a parlarmi e la sua voce… le cose che mi diceva…»
Henry l’afferra per le braccia e la solleva come se non pesasse nulla, come se tutto ciò che è rimasto di lei si fosse sciolto sulla poltrona.
«Cristo, me lo ricordo. Quella specie di cane spelacchiato basso e tozzo. Ti sei messa con uno stronzo così, eh?»
«Io… Henry, lasciami mi stai facendo male.»
La lascia andare di colpo e lei ricade sulla poltrona, buffa bambola nera.
«E quando vi vedevate?»
«Non ci siamo più visti. Diceva che non ero ancora pronta…»
Henry le ripiomba addosso, le sue labbra a due centimetri da quelle di Loraine, il suo fiato carico di wisky che l’avvolge in una nuvola disgustosa.
«Che non eri cosa?» urla.
«Pronta. Diceva che non ero ancora pronta.»
«E per cosa, se è lecito?» Le alita addosso zaffate pesanti e lei volta la testa.
«Poi l’ho rivisto l’anno scorso.» Riprende a parlare come se lui non l’avesse appena interrotta. Mantiene il viso girato. «Sempre a carnevale, dai Malone. Aveva un costume da diavolo. Ti ricordi? Gli hai parlato anche tu.»
Henry si raddrizza di colpo.
«Non dire cazzate. Quello con cui ho parlato era alto, magro, un tipo nordico. Lo sciacallo era uno stronzetto arabo o giù di lì.»
«Era lui, Henry.»
Henry la scruta attento e accenna un sorriso cattivo.
«Hai voglia di scherzare, è così?» Il colpo la coglie prima che riesca a ripararsi il viso con le mani.
Loraine gira lenta la testa verso Henry.
Lui cerca di mettere a fuoco il suo volto, sprofondato nel buio.
«Ma non ero ancora pronta, diceva.» Parla con voce profonda, come se il suono delle sue parole arrivasse da una caverna. «E poi l’ho rivisto ieri sera, da Francoise.»
«Quel coglione vestito da vampiro?»
«Sì.»
Henry alza una mano per colpirla di nuovo.
Quando Loraine lo blocca afferrandolo per il polso, Henry non ha nemmeno il tempo di sorprendersi.
Lei è in piedi davanti a lui. Non l’ha vista alzarsi. È in piedi davanti a lui e gli stringe il polso con forza inaudita.
Gli occhi di Loraine sono un incendio e Henry sente la bocca diventare arsa.
«E sai cosa mi ha detto questa volta?» gli sussurra in un orecchio ma è come se urlasse fortissimo e Henry sente gli intestini sciogliersi.
Lui scuote la testa. No no no no.
Lo sa ma non vuole saperlo. Nonono.
«No, Henry non lo vuoi sapere?»
No no no no.
Loraine gli è addosso e gli blocca la testa ta le mani. Lui non riesce a muovere un muscolo. Può solo fissarla in quegli occhi che sembrano diventati così scuri e grandi da dilagare oltre le palpebre e invadere il volto, la casa, il mondo.
«E io te lo dico lo stesso. Ha detto che ora sono pronta, Henry. Pronta. Lo senti anche tu?»

©Barbara Garlaschelli, 2018

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