Nemiche [2] di Barbara Garlaschelli

Sono i sogni a brandelli il mattino
gli incubi pomeridiani
le rassicuranti parole d’odio.

ADA

 

Stella stellina
la notte si avvicina,
la fiamma traballa,
la mucca è nella stalla…

Ada si svegliò di colpo. Il corpo sudato, le lenzuola  arrotolate strette attorno alle gambe, le mani aggrappate ai bordi del materasso. Scattò seduta ansimando forte, la bocca semiaperta e un filo di saliva che le scivolava sul mento. Gli occhi corsero da una parte all’altra della stanza buia, due biglie nere che rotolavano avanti e indietro.
Non sapeva dove fosse.
La filastrocca le rimbombava nel cervello. Una filastrocca che le toglieva le forze e la lanciava nel mondo del terrore.

Stella stellina la notte si avvicina…

Annaspò alla ricerca del fiato che, di colpo, parve mancarle.
Dopo alcuni istanti il buio della stanza (la sua stanza?) si trasformò in penombra e le fu possibile mettere a fuoco il contorno di un armadio, di una scrivania, di quello che pareva un attaccapanni e di una sedia a dondolo.
Sulla sedia a dondolo il suo sguardo fece una sosta. Il fiato ritornò a inondarle i polmoni e un sorriso che non aveva nulla né di umano né di gioioso le comparve sulla faccia, tra le gocce di sudore che le scendevano rapide dalle tempie e le entravano in bocca.
Quella sedia, la riconosceva

(una bambina non dovrebbe trascorrere tante ore seduta a far niente!)

Era la sua!
Quella su cui trascorreva delle mezz’ore nell’attesa che l’uragano al di là della porta, cessasse.
Se quella era la sua sedia a dondolo, allora quella doveva essere la sua camera da letto. Sbatté le palpebre quasi incredula e spostò gli occhi su qualche altro oggetto che le desse la conferma della sua supposizione.
Scorse lo stelo della lampada allogena e la casa costruita con il Lego, le sagome dei peluche e della bambola Ottavia, la pigna di blocchi che contenevano tutti i suoi disegni

(una bambina non dovrebbe fare disegni tanto orribili!)

Sì, era la sua stanza.
Piombò sulla schiena, affondando la testa nel cuscino. Dalle sue labbra fuoriuscì una specie di sibilo, come di copertone bucato e le narici si dilatarono nella furia della respirazione.
Con gesti lenti e studiati cominciò a muovere le gambe per liberarsi dall’abbraccio forzato del lenzuolo. Se avesse agito con la necessaria compostezza, il panico sarebbe passato. Lo sapeva, le capitava sempre.
Piano piano le gambe furono libere. Ora toccava alle mani. Con lentezza esasperante allungò prima un dito poi l’altro sino a quando i palmi furono distesi e rilassati sul materasso. Le dolevano le giunture, come se qualcuno le avesse stretto le dita con forza. Quanto tempo era rimasta aggrappata al materasso? Non lo sapeva.

Stella stellina la notte si avvicina…

Non ricordava mai ciò che sognava
O meglio, sapeva che il ricordo era lì, dietro un sottile velo nero. Sarebbe bastato un piccolo sforzo e il sogno, anche se a brandelli, le sarebbe balzato alla mente. Ma non aveva voglia di sapere quali immagini si agitassero dietro il velo nero.
L’unica cosa che ricordava con chiarezza era quella vecchia cantilena che le si piantava nel centro esatto della testa e che, già lo sapeva, l’avrebbe accompagnata per l’intera giornata. Sentì la pelle arricciarsi sulle braccia.
Una voce di donna canticchiava la nenia. Una voce senza inflessioni, leggermente roca. Leggermente crudele. Terrorizzante.
Una voce che lei conosceva bene.
Il rumore al di là della porta la fece scattare di nuovo in posizione seduta.
Rumore di passi leggeri che si dirigevano in bagno.
D’istinto 
le mani si avvinghiarono al materasso e il fiato le si mozzò in gola.
Cos’era meglio? L’incubo di cui non ricordava nulla o quei rumori là fuori la sua stanza?
Sentì lo scorrere dell’acqua nel lavandino e un colpo di tosse.
Le mani si allentarono e il respiro riprese, anche se a fatica.
Lo sguardo corse al quadro nero della finestra: niente luna quella notte, solo il riverbero pallido di un lampione. Nemmeno il conforto della grande luna, pensò Ada.
Lì fuori c’era il mondo. Bello, invitante come un bignè. Anche la sua casa era invitante come un bignè. Un bignè all’arsenico.
Sentiva la schiena pizzicare, proprio dove c’erano le ultime cicatrici.
Sarebbero guarite, come le altre. Il problema erano gli incubi, anzi i risvegli che diventavano sempre più dolorosi.
Dal bagno, ora, giungeva un rumore secco e graffiante. Si stava lavando i denti.
Era bello il mondo, glielo avevano giurato. Bastava solo guardarlo nel modo giusto, dicevano. Bastava non opporsi sempre, non pretendere di capire sempre. Adattarsi.
Ah ah. Adattarsi. Carino, carino davvero.
Peccato lei non riuscisse ad adattarsi.
Ada non si adattava.
Molto divertente.
Ada non ubbidiva e non mangiava quello che voleva lei non beveva quello che voleva lei non leggeva quello che voleva lei.
Aveva la spudorata presunzione di voler imparare a usare il suo cervello come fosse una macchina per esplorare. Ma lei non voleva questo. Lei voleva ubbidienza. Semplice e rassicurante ubbidienza.
Sentì il leggero clic dell’interruttore che veniva abbassato e i passi che si avvicinavano alla sua porta, la superavano. Si fermavano.

Stella stellina stella stellina stella stellina stella stellina…

I pensieri vennero risucchiati in un vortice di terrore. Non riusciva a ricordare nient’altro che quelle due parole e il dolore sulla schiena.

Non entrare non entrare non entrare…

I passi tornarono indietro e la maniglia si abbassò.
Ada chiuse gli occhi, le unghie ficcate fino quasi dentro il materasso, le gambe rigide.
Nessuno mai ascoltava le sue preghiere.
«Piccolina, dormi?- La voce di sua madre. Una voce senza inflessioni, leggermente roca. Leggermente crudele. Terrorizzante. Si avvicinò al letto e Ada non riuscì a fingere di dormire, come si era ripromessa.
Aprì gli occhi sul suo sorriso, visibile nella penombra. Un sorriso indagatore, come di qualcuno che sta contemplando un interessante esperimento.
-Non riesci a dormire, piccolina?»
Fece no con la testa (non ho paura non ho paura non ho paura).
Non voleva farla arrabbiare, oh no, ma non riusciva a dormire, come spiegarglielo?
Il sorriso sopra di lei sparì e la bambina riconobbe negli occhi della donna un lampo di ira repressa.
S’irrigidì e aspettò che la furia si scatenasse.

Devo dormire devo dormire devo dormire…

«E’ ancora presto. Devi dormire, piccolina. Devi ubbidire alla mamma. Devi.» Ada riconobbe la nota che fece incrinare la voce di sua madre e affondò ancora di più la testa nel cuscino.
«Ti canterò qualcosa.» Il sibilo di un cobra.

No, ti prego, no.

« Stella stellina la notte si avvicina, la fiamma traballa la mucca nella stalla, la pecora e l’agnello…»
Ada si aggrappò al lenzuolo e sperò di riuscire ad addormentarsi prima che la filastrocca finisse.

©Barbara Garlaschelli, Frassinelli, 1997

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