Le antipatiche [8] di Anna Martinenghi

DIAMONDS ARE A GIRL’S BEST FRIENDS

Il compleanno di mia nonna era il 13 agosto. L’anno di nascita l’ho scoperto solo il giorno in cui se n’è andata. Aveva novantotto anni. Ne dimostrava sessanta a mala pena. È nata nel 1985, è morta il 19/10/2083. Fatico a credere che appartenesse al secolo scorso, anche se spiega molte delle sue stranezze.

Ha sempre barato sull’età: non ha voluto date nemmeno sulla tomba. In compenso si è scelta l’ultimo modello di lapide con doppio schermo a membrane intracellulari. Le sue ultime volontà sono state precise, come tutte le altre.

Sullo schermo principale scorrono migliaia di suoi ritratti. “Selfie” li chiamava lei, una  moda dei suoi tempi che non ha mai smesso di seguire. Guardarli m’imbarazza, se penso che era una centenaria e si faceva foto con le labbra a paperetta.

«Nonna, devi buttare quel catorcio. Non capisco a cosa ti serva un vecchio cellulare, ora che c’è la comunicazione dermica. Hai la micro card biologica, puoi sinapso-connetterti con chiunque e indossare le video lenti per le immagini e per il video filmare la tua vita».

«Niece, io odio le foto in 3D, mi fan sembrare più grassa di quel che sono. Sono affezionata ai miei instagrammi. E poi basta chiamarmi nonna, mi vuoi male? Non possiamo essere amiche?».

Detestavo essere chiamata Niece, ma lei parlava così. Infarciva discorsi d’inglesismi, ma non solo: abbreviazioni, parole inventate e parole prese d’altre lingue. Lei non parlava, esperantava. Aveva il suo mondo.

Non deve essere stato facile crescere con una tecnologia primitiva. E’ nata in un’epoca in cui le donne erano ancora condannate al ferro da stiro e potevano contare su elettrodomestici arcaici. Ecco spiegata la sua passione per le novità.

Il doppio schermo a membrane intracellulari è davvero stupendo: le immagini sono liquide, i colori saturi, come piacevano a lei. Sul secondo display, quello più piccolo, scorrono clip della sua vita, omaggi floreali, foto di gatti e peluche. Era davvero una figlia di Facebook: è andata in depressione quando hanno chiuso.

La sua sepoltura è la migliore del camposanto. Nonna ha un contratto di upgrade fino al 3050: ogni mese la sua tomba sarà aggiornata al modello più recente. Lei pensava sempre al futuro, del passato non parlava volentieri.

«Avevo ventotto anni quando me ne sono andata dall’Italia. Non c’era lavoro, la crisi era fortissima. Per campare ho fatto mille lavoretti: la cameriera, la commessa, la raccogli- merda di cani altrui. Il peggio era lavorare nei call center. Ah, tu manco sai cos’è un call center, ora che fanno tutto gli ultrarisponditori di selezione. Ai miei tempi era diverso: si parlava con le persone e le persone ti insultavano. Anche per quello me andai. Non ne potevo più di gente incavolata e lamentosa. Soldi ce n’erano pochi e la rabbia montava. Sono arrivata qui e ho ricominciato: ho fatto la cameriera, la commessa, la raccogli-merda di cani altrui. Intanto imparavo la lingua e andavo avanti. Qui la speranza c’era e io ce l’ho fatta!».

Adoravo il suo accento, il modo in cui indugiava sulle vocali, la cadenza morbida. Sembrava sempre che cantasse. Però non parlava mai in Italiano; non l’ha insegnato nemmeno a mia madre. Ogni tanto le scappava qualche vaffa, ma non c’era bisogno di traduzione.

Mi manca moltissimo. Era una donna forte ed è stata una madre single – come la mia d’altro canto – Ha amato tanto: la sua famiglia, i suoi amici, i suoi uomini, anche quando amare significava fatica, delusione o attesa. Credo sia proprio questa la cosa fondamentale che mi ha insegnato: che l’amore è sempre in costruzione e siamo noi i muratori. Non possiamo aspettare che qualcuno costruisca il nostro. Per il resto era una pazza, eccentrica, esagerata. Era affamata di esperienze.

«Sono una strega, nata di sei mesi. Ho già rischiato di morire e ora voglio rischiare di vivere».

Con questa filosofia ne ha combinate di cotte, crude e bollite. È stata nello spazio «Due volte!», ha rinunciato a proposte di matrimonio che «Non somigliavano alla felicità»,  ha cercato di essere sempre e solo se stessa.

Era vanitosa. In questo non le somiglio affatto. Ha passato la vita a farsi «aggiustare» come diceva lei. Se avessi saputo che aveva quasi cent’anni, avrei criticato meno quella mania. La sua pelle era fresca, forse troppo. Da piccola volevo sempre che mi raccontasse la favola di Cappuccetto Rosso, perché quando arrivava in fondo, nel momento in cui il lupo ha già mangiato la nonna, scattava la sua personale interpretazione.

«Nonna, che labbra grandi che hai!» diceva lei con una voce acuta da Cappuccetto Rosso.
«Son per baciarti meglio, tesoro mio, me le hanno appena rimpolpate!» rispondeva con la voce cavernosa del lupo.
«Nonna, che zucche imbarazzanti hai, per essere una nonna! Non siamo mica a Halloween» continuava, mentre morivo dal ridere.
«Sono per il cacciatore, tesoro mio. Impara a farti gli affari tuoi!».

Non è stata una nonna convenzionale. Aveva molti tatuaggi. Mi piaceva seguire con le dita i disegni colorati sulla sua pelle sottile. Mi chiedevo se le rose sulla spalla avessero radici dentro di lei, se il cuore che circondavano con le spine fosse di quel nonno che non ho mai conosciuto. «Ora di toglierli» disse un giorno «Sanno di vecchio e io non sono vecchia».
I tatuaggi sparirono.

Un’altra delle sue manie era il cibo. Odiava le polveri integrative.
«Mi rifiuto di ingoiare le sabbiette colorate. Ci mettono di tutto lì dentro. Altro che nutriceutica, ai miei tempi la sabbia serviva per la spiaggia e per i bisogni dei gatti».

Così coltivava verdure in terrazzo, anche se è vietato da decenni, per via dell’inquinamento permanente. Ogni tanto mi faceva assaggiare qualcosa, di nascosto da mamma. Il sapore delle verdure era curioso, anche se poi mi veniva sempre un gran mal di pancia. Non gliel’ho mai detto però: era troppo felice quando si metteva a spadellare i suoi “cibi veri”.

«Ricordati che sono vegana e non sabbiana come voi. Vi seppellirò tutti e danzerò sulle vostre tombe!».

Purtroppo non è andata così. L’inquinamento permanente non l’ha perdonata e ora fisso la sua tomba con l’ultimo modello di I-Dead come lapide. In realtà è una tomba vuota, un cenotafio, un mausoleo dei suoi selfie. La nonna si è fatta diamantificare. È stata dura trovare qualcuno in grado di farlo, è un sistema di cremazione antiquato, ma lei ci teneva. Le piacevano i diamanti, canticchiava sempre una canzoncina che ora ho dimenticato. È diventata un diamante blu e si è fatta spedire nello spazio con la Costa Sideria.

«La crociera alle Pleiadi è stata la più bella della mia vita. Vorrei viverci per sempre».

Spero ti piaccia il cielo, nonna.
Sei tu la mia stella più bella.

© Anna Martinenghi

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2 commenti

  1. Te sei un geniooooooo!!! E io pendo dai tuoi racconti

  2. Oh, madre santa, salvati subito anna wood!

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