Ingredienti [4] di Antonella Zanca

©Foto di Antonella Zanca
©Foto di Antonella Zanca

Clementini

Fino agli anni Sessanta, c’erano i mandarini.
Nelle storie che i Grandi raccontavano ai Piccoli, i mandarini erano regalo di Natale. Profumavano, nelle favole, quando le bucce si buttavano sulla stufa, a seccare, a riempire stanze di meraviglia.
I Piccoli non capivano bene, allora, cosa volesse dire la parola “profumo”. Mamma la ripeteva sempre, e con gli occhi che ridevano, quindi doveva essere cosa buona.
Mario, a metà degli anni Cinquanta, aveva Il Carrello: un piccolo carretto a mano, di legno, posizionato all’angolo tra la scuola e il panettiere.
Il Carrello veniva riempito di cassette di frutta recuperate all’alba al Mercato Ortofrutticolo, detto Verziere, dagli uomini di famiglia che si alzavano all’alba e, con l’unica macchina a disposizione, presa in prestito da un amico, compravano frutta e verdura da rivendere nel quartiere.
La scelta, per poter guadagnare il massimo, era fatta su pochi articoli, primizie e novità, ché cavoli e verze li trovavi dappertutto.
Erano gli anni in cui potevano anche arrivare dei soldi in più, nelle famiglie appena composte, perché la gioventù e la voglia di lavorare ben si sposavano alla voglia di crescita di tutte le città.
Mario non era da meno. Non c’erano orari, per lui. Diceva sempre di sì alle signore un po’ in là con gli anni che chiedevano la spesa a domicilio, la sera, dopo la chiusura. Qualche mancia ci scappava e allora si potevano comprare cose nuove, per tutta la famiglia, ma per i bambini un po’ di più, loro secondo Mario ne avevano più diritto, e se desideravano dei giocattoli, lui li avrebbe portati a casa, riscatto della sua infanzia spesa a desiderare un piccolo fucile che mai gli comprarono.
I clementini erano scoperta recente e le facce dei gemelli, quando li mangiavano, ripagavano Mario di ogni sacrificio, delle alzate all’alba, delle scale per quattro o cinque piani con le borse pesanti per le vecchie signore, della sopportazione giornaliera della spocchia di suo fratello, sempre a rimarcare che lui era il primo, il migliore, l’unico in grado di fare la cosa giusta.
Mario arrivava a casa, la sera, con la stanchezza nelle gambe e nelle braccia, ma con la certezza di trovare i gemelli ancora svegli.
Lisa aveva deciso, contro ogni regola, che i bambini potevano stare alzati fin dopo l’arrivo di papà.
Suocera e mamma scuotevano sempre la testa, quando lo scoprivano, ma loro erano una vera famiglia, in quell’oretta che rubavano al tempo delle leggi educative.
Seduti per terra, sul tappeto di lana comprato da poco al mercato, giocavano a farsi i dispetti, a darsi baci e sbuffate; poi, Mario toglieva dalla tasca un clementino, lustro, brillante, e i gemelli ridevano e battevano le mani e lanciavano urletti come quelli che faceva lui quando da solo cercava di imitare Il Quartetto Cetra.
Adagio, lo sbucciava, e passava le bucce sotto i nasi di Fabrizio e Fabrizia. I loro nasini si stortavano, strizzavano gli occhi, a volte starnutivano, ma certo non smettevano di ridere e saltellare e caraccolare vicino a lui, allungando le manine.
Uno spicchio per uno di delizia, neppure un seme, solo succo dolcissimo.
C’era un istante di silenzio, in cui tutti e quattro godevano della meraviglia. Era un istante in cui Lisa chiudeva gli occhi e Mario guardava tutti con il respiro corto e tanta paura di morire.
Proprio in quel momento lì, sentiva di essere felice.

 
 
©Antonella Zanca, 2016

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