Il passo del bradipo (ovvero le avventure di Brady) [22]

 

Brady E Ora Basta

Caro Bradydiary,
sul lavoro, non c’è niente di peggio che lavorare bene, specie se sei illicenziabile, come accade , per esempio, nelle istituzioni scolastiche e accademiche italiane. Personalmente, sono illicenziabile da quando avevo 23 anni, e mi va di culo perché per puro caso lo sono in un lavoro che adoro. Erano tempi diversi, perciò non andava come oggi. Già. Perché oggi se dici che sei illicenziabile ti guardano come se fossi Highlander e in nove casi su dieci sibilano con odio: “ne resterà uno solo”, alludendo alla possibilità di ucciderti per liberare un posto nel quale collocare provvisoriamente almeno 28 precari.
Allora si diventava illicenziabili anche più o meno senza deciderlo, facendo un concorso ordinario, e trovandosi subito dopo catapultati in una classe, davanti a venti o trenta occhi tondi, con un terrore cieco che il bambino psicopatico di Shining non è nessuno.
Ho fatto i conti, e ne ho concluso che la prima volta che sono entrata in una V dell’Istituto per Periti Aziendali e Corrispondenti in Lingue Estere Maggiolini di Rho, avevo 3 anni più delle studentesse che mi guardavano incuriosite: questo succede se fai la primina, un corso di laurea facile e un quadriennio di università senza fidanzati né amici. Tristissimo, ma veloce.
E, beh, caro bradydiary, dopo 20 minuti in quella classe, ho capito che insegnare era il mio mestiere. Il che non giustifica ovviamente la macellazione programmatica della mia vita, del mio tempo libero, delle mie passioni e del mio universo in generale alla quale mi sono sottoposta in questi duemila anni di lavoro.
Mi hanno dato un premio? Tecnicamente no, se si esclude l’impagabile dedizione dei miei studenti (che comunque è oggi la sola ragione per cui faccio questo mestiere). Al contrario, appunto, si sono materializzate sanzioni di ogni tipo: le classi peggiori, i programmi peggiori, i colleghi più disturbati, le aule meno idonee, e, se ci sta, anche qualche lavoretto estivo come obbligo di servizio.
La situazione è andata peggiorando, nel tempo.
I miei colleghi nelle varie istituzioni scolastiche, sono passati dal cauto disinteresse alla guerra aperta. Ho anche capito che la guerra era tanto più decisa quando veniva dichiarata da chi non faceva assolutamente una mazza, perché il mio superlavoro metteva in discussione l’etica di sofisticato fancazzismo che caratterizza alcuni illicenziabili.
Non tutti, eh, e sarebbe errato dire che io sia unica. Panda o bradipo, ho alcuni esemplari che mi fan compagnia, ma la razza si sta estinguendo e la vita si è fatta davvero grama, per noi lavoratori a prescindere (dalla possibilità del licenziamento, cioè). Noi che all’università andiamo a lavorare anche il venerdì, e anche quando ci siamo andati tutti i giorni della settimana. Noi che non osiamo mandar via uno studente che viene a chiedere la tesi, anche se ne abbiamo già in corso 35, perché quello studente con qualcuno deve laurearsi e gli hanno già detto di no in 15 fancazzisti. Noi che, pensa, addirittura andiamo DI PERSONA all’appello d’esame, anche ora che c’è la verbalizzazione elettronica e uno l’esame lo può registrare anche da Stoccolma o da Fortitude, e sentendo i suoi studenti via mail. Noi che ci scandalizziamo se un docente arriva tardi e va via presto e tra l’una e l’altra cosa, partecipa alla riunione per cui ha firmato un totale di 7’15’’. Noi che per la verità siamo considerati rompicoglioni professionisti: se diciamo che una cosa non si deve fare perché è contro la legge, di solito sentiamo alle nostre spalle qualcuno che sussurra: “Ecco, la solita maniaca di formalismi giuridici”.
Noi, diciamolo, siamo una specie ormai quasi estinta. Moriremo alcolisti, tossici o di crepacuore. Ma non prima, almeno nel mio caso, di aver messo in fila tutti i fancazzisti del circondario e averli giudiziosamente, individualmente, singolarmente e senza possibilità di replica, mandati a farsi fottere. E non da Brad Pitt.

©Nicoletta Vallorani, 2015

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