Fantasmi [9] di Uduvicio Atanagi

© illustrazione di R. Rutigliano

I BAMBINI DI PALUDE

I ragazzini della palude hanno qualcosa che non va, la muffa deve aver preso il controllo del loro corpo, oppure un’alga gli deve essere entrata nel cervello. Quando parli con un ragazzino della palude non parli con un ragazzino normale, parli sicuramente con una cosa che gli si è depositata dentro, che gli è entrata dal naso e poi è strisciata fino a dietro gli occhi e ha iniziato a fare quello che gli pare.
I ragazzini della palude si vestono in dei modi strani, raccolgono le cose in terra a se le mettono addosso o anche in faccia, non si sa bene nemmeno come abbiano fatto a sopravvivere lì, che cosa mangino e cosa facciano.
Nessuno va mai alla palude e a nessuno interessa andarci, tranne a qualche pazzo o a quei tizi che delle volte passano di qua e fanno domande strane, poi li ritrovano persi e deliranti tutti coperti di fango e di schiuma.

I ragazzini della palude puzzano in un modo tremendo e quando qualcuno dei loro si sposta per andare in qualche altro posto, tipo non so; dai ragazzini della montagna o dai ragazzini dei campi, allora tutti si mettono dei fazzoletti in faccia o delle cose per non sentire l’odore e tutti si guardano l’un l’altro e alcuni ridono alle spalle dei ragazzini di palude ma ben attenti a non essere visti, anche se delle volte li chiamano cenciosi o puzzaterra.
Delle volte i ragazzini della palude fanno dei discorsi strani, si trovano bene con quelli dei campi, meno bene con quelli delle montagne, di sicuro non gli piace il castello, anche se in molti sospettano che abbiano un qualche tipo di legame col castello, io sinceramente non ne voglio sapere niente e fareste bene a non ficcarci il naso nemmeno voi.

Si dice che nella palude ci abitasse una strega o una vecchia o forse più vecchie o più streghe. Si dice che sia la vecchia o la strega o le vecchie ad aver cresciuto i ragazzini della palude, poi la vecchia è morta anche se qualcuno in giro dice che l’hanno ammazzata loro.
Non so se questa vecchia fosse buona o cattiva, tanti però si immaginano la vecchia trascinata via dai ragazzini della palude, la tirano per i capelli e poi la tirano per le gambe, la vecchia urla e anche se era cattiva alla maggior parte dei ragazzini dei monti e dei campi non sembra che se lo meriti.
Ai ragazzini dei boschi invece non importa, anzi non si sa se gli importa; dei ragazzini dei boschi sanno poco praticamente tutti, forse anche i ragazzini delle paludi, forse anche il castello non ne sa niente, il castello che se ne sta là in alto ad osservare la palude, i campi, le montagne, i boschi e poi tutta la vallata che si estende a perdita d’occhio, sterminata, dove come una foschia o una nebbia, dai prati gialli e verdi e neri si alza soltanto il silenzio.

I bambini si ritrovano insieme solo per un giorno speciale. È il giorno che i bambini del bosco iniziano a comparire tra gli alberi. Li vedi di notte, prima come luci lontane, poi come luci che da luci diventano bambini del bosco, vedi le loro maschere che si illuminano bagnate dalle torce che tengono in mano. Allora tutti i bambini: quelli della palude, quelli dei campi e quelli delle montagne, vanno verso la foresta, seguono le luci, camminando silenziosi nel buio del bosco.
I bambini del bosco formano una specie di corridoio, a volte sono molto distanti uno dall’altro, allora i bambini cercano di adattare gli occhi all’oscurità, cercano di scorgere la prossima torcia, una lingua di luce che pulsa tra i rami e le foglie.
Alla fine raggiungono il tempio, il tempio si erge nella foresta, si vede male, è buio, la sagoma del tempio emerge dall’oscurità come una tonalità più nera del nero, simile a quella delle ossa, come una cosa fatta di ossa nel buio.
Davanti al tempio i bambini camminano in fila, non dicono niente, tengono la testa china, i bambini del bosco ne fanno entrare pochi per volta.

Quando finalmente sei dentro allora puoi vedere i genitori, stanno seduti sui loro troni, stanno seduti lì da tantissimo tempo.
Appena i bambini li vedono e con i bambini intendo anche io, allora i loro cuori battono strano, diventano appiccicaticci e morbidi, come il moccio o come le lacrime miste al moccio.
Li chiamano i genitori, li chiamiamo tutti così, non sono sicuro che siano stati genitori di qualcuno ma di sicuro ci mancano tantissimo. I loro corpi sono semi mummificati, le ragnatele gli sono cresciute addosso, hanno i denti digrignati e le orbite vuote, i capelli secchi come piante antiche, i seni aridi che ciondolano svuotati dal torace.

Quando è il tuo turno ti siedi sulle gambe del babbo o della mamma, puoi abbracciarli, chiudere gli occhi e piangere, allora senti il loro corpo secco e duro, l’odore di putrefazione è dolciastro, lentamente ti ci abitui, senti le ossa, i capelli grigi che ti accarezzano il volto, gli sfiori le mani, gli zigomi ossuti, allora ti sembra di sentire delle ninna nanne, o tipo delle rassicurazioni, qualcuno che dice andrà tutto bene, qualcuno che ha paura quanto te ma che mentre ti guarda terrorizzato fa finta di non avere paura.

© Uduvicio Atanagi, 2017

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